Le urgenze per il settore del vetro sono sostanzialmente due: da un lato la necessità di ridurre il costo di approvvigionamento dei vettori energetici; dall’altro quella di avere accesso continuativo a forniture di gas naturale anche in caso di razionamento.
L’industria del vetro sta vivendo un momento di forte sofferenza. Costi dell’energia decuplicati e poche tutele rischiano di far perdere competitività al settore, uno tra i più energivori. Ne abbiamo parlato con Marco Ravasi, presidente di Assovetro, l’associazione italiana degli industriali del vetro.
La prima manovra economica del governo Meloni conferma l’eliminazione, al primo trimestre 2023, degli oneri di sistema confermando il credito d’imposta alle imprese ad alta intensità di energia, che sale dal 40% al 45%. È un buon inizio?
L’eliminazione degli oneri e la conferma, con un lieve incremento, del credito di imposta sono certamente rassicuranti. Non sono però risolutivi. Il contesto per le imprese del comparto del vetro rimane critico. I 60 siti produttivi dislocati sul territorio nazionale, infatti, necessitano di grandi quantità di gas per alimentare i forni a ciclo continuo. Si tratta di impianti che consumano complessivamente circa 1,1 miliardi di metri cubi di gas (circa l’1,5 per cento del consumo nazionale) e che non possono essere mai fermati, pena danni irreparabili e la perdita della capacità produttiva.
Con simili quantità, con questa rigidezza, e con bollette che superano, in media, i 10 milioni di euro al mese, anche la gestione del credito di imposta, dal punto di vista amministrativo, non è semplice: non sempre i bilanci sono sufficientemente capienti e gli istituti di credito fanno fatica ad assorbire i crediti, che sono, tra l’altro, cedibili solo per intero.
Quali sono le urgenze del settore del vetro in questo senso?
Le urgenze per il settore del vetro sono sostanzialmente due: da un lato la necessità di supporto riducendo il costo di approvvigionamento dei vettori energetici anche attraverso la possibilità di accesso a quantitativi di energia elettrica e gas naturale a prezzi calmierati; dall’altro la necessità di avere accesso continuativo a forniture di gas naturale anche in caso di razionamento, pena la perdita della capacità produttiva.
Dal primo punto di vista, i provvedimenti “energy release” e “gas release” potrebbero rappresentare una prima risposta, se non fosse che i tempi di attuazione appaiono sproporzionati rispetto all’emergenza (ancora nulla sul fronte gas release, forse qualcosa per l’elettricità) e i quantitativi in gioco sono troppo esigui per consentire un efficace sollievo della situazione, soprattutto in rapporto ai principali competitor europei.
Dal secondo punto di vista, che se si vuole è ancora più delicato, un aiuto potrebbe venire dalla possibilità di ridurre parzialmente i consumi di gas naturale attraverso il fuel switch, verso combustibili alternativi come il gasolio, percorso che, allo stato attuale, non può essere seguito appieno senza una deroga ai limiti sulle emissioni in atmosfera e una semplificazione delle procedure burocratiche connesse alle autorizzazioni per le modifiche impiantistiche necessarie e lo stoccaggio prodotti.
Questa situazione si somma alle difficoltà dovute alla congiuntura geopolitica, tra conflitti, “weaponizzazione” dell’energia e frammentazione delle supply chain, con il conseguente aumento generalizzato dei prezzi…
La crisi della supply chain è la “ciliegina” sulla torta per i nostri imprenditori. L’Italia importava circa il 20 per cento del vetro che utilizza, da paesi quali Turchia, Portogallo Europa nordorientale, ma anche la stessa Ucraina. L’aumento generalizzato dei costi di produzione e la mancanza dei mezzi di trasporto hanno causato un picco del costo dei noli e un crollo delle importazioni.
Il tutto si traduce in un aumento di oltre il 40% per cento del costo delle bottiglie che fa il paio con una carenza di prodotti rispetto alla domanda. Si stima che nel prossimo trimestre potrebbero mancare all’appello 200 tonnellate di bottiglie, con ripercussioni su diversi settori a partire da quello del food and beverage.
In questo contesto, il settore del vetro continua a correre e ad essere trainante, la domanda di vetro italiano continua ad aumentare in linea con il rialzo della produzione tricolore del 9,4 per cento nel 2021 e del 3,4 per cento nel primo trimestre di quest’anno. Situazione analoga è vissuta negli altri comparti del settore, come quello della produzione di vetro piano per l’edilizia, lane e filati e fibre di rinforzo.
Quali provvedimenti nazionali ed europei dovrebbero essere intrapresi per la salvaguardia della filiera del vetro?
Sostenere attivamente l’industria italiana del vetro, facilitando le forniture di energia e materie prime, oggi significa permettere all’Italia di mantenere la propria quota di mercato e la leadership europea (l’Italia è il primo produttore europeo per imballaggi in vetro, e il secondo se si considera tutto il comparto).
Per semplificare: la sovranità alimentare potrebbe passare, in parte, anche attraverso la difesa della competitività del vetro. Se lo immagina un vino d’annata contenuto in un packaging alternativo dalla bottiglia?
D’altro canto, il perdurare di questa situazione senza alcun intervento, potrebbe determinare nel medio periodo una forte perdita di competitività del settore e l’incremento delle produzioni in altri paesi, segnatamente extra europei, con le conseguenze comprensibili sui livelli occupazionali italiani, la sicurezza di approvvigionamento, la capacità di riciclo e, anche, il percorso di decarbonizzazione mondiale.
L’industria del vetro è tra quelle più energivore è ad alto impatto ambientale in termini di produzione. Qual è la strada per avvicinarsi a una maggiore sostenibilità?
Nonostante le contingenze accidentate, il percorso del comparto del settore del vetro verso una maggiore e progressiva sostenibilità rimarrà invariato.
È utile anzitutto ricordare che il vetro è infinitamente riciclabile e anche infinitamente riutilizzabile, questa versatilità se calata nel comparto del packaging permette di scegliere la modalità di distribuzione di alimenti e bevande più conveniente per l’ambiente.
Il nostro impegno si concentra da un lato nel potenziamento della catena dell’economia circolare e del riciclo e dall’altro all’impegno e investimento costante verso la decarbonizzazione.
Stando al rapporto annuale di Coreve, il Consorzio di riciclo del vetro, nel 2021 sono state più di 2,4 milioni di tonnellate dei rifiuti di vetro riciclate in Italia (+1,8% rispetto al 2020), con un tasso di riciclo pari a 76,6%, attestandoci con otto anni di anticipo già leggermente sopra all’obiettivo del 75% fissato dall’Unione Europea entro il 2030.
Nonostante ciò – e su questo occorre uno sforzo ulteriore – sono ancora 400.000 le tonnellate che finiscono in discarica e che occorre canalizzare in modo corretto.
Il comparto del vetro piano, d’altro canto, produce un materiale insostituibile in tutte le applicazioni (edilizia, automotive, eccetera), completamente naturale e tecnologicamente avanzatissimo. In edilizia esistono i cosiddetti “vetri dinamici” che permettono di regolare l’afflusso di radiazione solare all’interno degli edifici riducendo la necessità di condizionamento estivo ed invernale al minimo. Nel settore automotive, le applicazioni più avanzate hanno quasi dimezzato il peso dei parabrezza.
E sul tema Co2?
Sul versante riduzione della Co2 siamo proiettati verso una decarbonizzazione dell’industria al 2050. Molte nostre aziende tra i principali player mondiali hanno annunciato piani di riduzione sostanziale delle emissioni già al 2030, cui corrisponderanno, nei prossimi anni, massicci investimenti in tecnologie.
La strada maestra per centrare l’obiettivo è quella di aumentare l’efficienza dei prodotti e delle modalità di utilizzo degli stessi, penso per esempio ai margini di miglioramento che i vetri possono garantire in termini di efficientamento energetico degli edifici o all’opzione del riutilizzo dei contenitori ancora poco sfruttata nel nostro Paese.
Parallelamente occorre mantenere competitive le produzioni nazionali se si vuole che gli investimenti siano effettuati nel nostro Paese, portatore di una antica tradizione vetraria che non può essere dispersa.
D’altra parte, si tratta di un’industria che crea un alto valore aggiunto per il Paese.
Secondo i dati che emergono da uno studio in corso patrocinato anche dal CNEL, sostenere l’industria del vetro in Italia vuol dire generare un valore di 27 miliardi di euro con un rapporto di oltre 2,5 volte rispetto agli investimenti necessari.
Lo studio, infatti, valorizza l’impatto non solo economico, ma anche sociale ed ambientale del vetro e della filiera a partire da alcuni driver di evoluzione quali la decarbonizzazione, con il suo portato positivo di innovazione e di riduzione delle emissioni climalteranti, l’aumento dell’efficienza energetica in edilizia e il cambiamento parziale delle abitudini di consumo nel food and beverage.
Lo studio sarà il punto di partenza di un confronto più ampio in programma il prossimo 23 febbraio, nell’ambito di un Convegno che Assovetro organizza presso la sede del CNEL, in cui si discuterà del futuro del settore del vetro in Italia assieme alle parti sociali, agli attori delle filiere più importanti del Made in Italy e alle istituzioni.
https://formiche.net/2022/12/le-emergenze-industria-del-vetro-come-risolverle-secondo-ravas