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Dieta Mediterranea: il benessere in tavola

La dieta mediterranea dal 2010 è patrimonio dell’Unesco. Le motivazioni di tale riconoscimento sono le seguenti: “questo semplice e frugale modo di consumare i pasti ha favorito nel tempo i contatti interculturali e la convivialità, dando vita a un corpus formidabile di saperi, costumi sociali e celebrazioni tradizionali di molte popolazioni del mediterraneo”.

Quella che viene uniformata sotto la definizione di dieta mediterranea non è in realtà un modello alimentare unitario e coerente. In realtà, non è difficile constatare che anche in molte comunità costiere del Tirreno e dello Jonio il consumo di carni bovine e suine (quest’ultime anche sotto forma di salumi e insaccati), di latticini e di formaggi in genere, sia nettamente prevalente rispetto a quello di pesce. Eppure quest’ultimo, specialmente azzurro, ricco di grassi omega 3, si reperisce quotidianamente a prezzi senz’altro abbordabili. Quello che Ancel Keys ha definito come dieta mediterranea, è stato abbandonato come modello alimentare e non è stato mai praticato come modello unitario. Il cibo identitario dei poveri come ci ricorda Vito Teti era pane nero, erbe selvatiche, cibo agricolo. Il cibo “meridiano” è il cibo del mediterraneo è la cultura alimentare del meridione è il cibo identitario. Il cibo meridiano è cosa mangi, come mangi e con chi mangi. Il motto “vivi da ricco, e mangia da povero” è affascinante e in un certo senso è valido, ma bisogna riproporlo come modello alimentare del futuro perché quello che conta è origine e qualità e la qualità è solo il cibo agricolo biologico, riducendo la quantità.

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I temi della prevenzione sono scomparsi e non trovano spazio nell’agenda politica sanitaria. L’allarme ambientale derivante da deforestazione, effetto serra, inquinamento di acqua, di aria, di suolo e di cibo, oltre a minacciare la sopravvivenza della terra, minacciano tutti noi. I fattori nocivi diffusi nell’ambiente sono la causa principale insieme al cibo delle malattie tumorali. Basti pensare che quotidianamente vengono immessi  nell’ambiente circa centomila composti chimici. Li troviamo nell’aria, nell’acqua, nei suoli, nel cibo. L’attuale “sviluppo” economico non è compatibile con la tutela dell’ambiente e della salute. Evitare le malattie praticare la prevenzione non è funzionale al mercato, sicché le risorse che potrebbero andare in educazione e prevenzione, in ricerca e studio, trovano ben pochi canali e consumatori sempre meno competenti e responsabili in fatto di cibo. Ci ammaliamo sempre di più, e compriamo sempre più farmaci. In Italia il consumo di farmaci è cresciuto dal 1999 al 2007 del 13%, in Francia è sceso del 16%. Ogni mese spendiamo un miliardo di euro per farmaci. Noi medici dovremmo dialogare di più, prescrivere esami quando vi è un effettivo bisogno e ridurre il consumo di farmaci. La medicina dovrebbe  essere sobria con meno eccessi rispettosa del cittadino con più ascolto è uguale per tutti con risorse diagnosi e cure uguali per tutti in tutta Italia

Gli unici alimenti che accumunano le popolazioni del bacino del mediterraneo sono l’olio d’oliva e il grano, altro è contaminazione o derivante dall’emigrazione ( pomodori, patate…). La dieta mediterranea, quella praticata, non quella teorizzata è legata a abitudini alimentari diverse e contraddittorie, alcune figlie della fame altre dell’abbondanza.

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La produzione del cibo è passata da un trattamento naturale ad uno tecnico-industriale in terreni agricoli sempre più martoriati, cementificati, inondati da chimica e sempre più a contatto con rifiuti tossici. Il cibo sta perdendo il suo valore simbolico di socializzazione, di festa, di incontro di amicizia per ridursi ad elemento di nutrizione non salutare o di avanspettacolo televisivo. Ippocrate scriveva ”un medico deve sapere che cos’è un uomo in rapporto a ciò che mangia e a ciò che beve”, e ancora “il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”. Il rapporto tra stili di vita alimentari e salute ha basi solide. La tutela della salute per noi medici dovrebbe essere un fine e non può diventare una vetrina, un mezzo per apparire per esporre le nostre medaglie da primi della classe. Lavorare insieme ai cittadini per una battaglia collettiva in difesa del diritto alla salute, essere accanto all’altro a chi soffre e non sopra l’altro, o addirittura altrove.

Oggi non è l’uomo a fare la dieta è la dieta è fare l’uomo  Non siamo noi a mangiare il cibo ma il cibo a mangiare noi. Per i greci la dieta, diaìta, significava stili di vita per noi vittime della religione del corpo il Dio di questa nuova religione è l’immagine del corpo-maschio disciplinato nel suo appetito, obbligato a diete perpetue ridotto ad una compattezza di un fascio di muscoli di nervi ed ossa L’attenzione salutista del proprio corpo bilancia il culto dell’abbondanza alimentare; la dieta è girovita, riduzione di calorie, peso e misure, con il rischio di disordini alimentari: eccessivo uso di proteine, depressioni, frustrazioni. Abbiamo i consumatori di cibo chic che seguono i dettami dei tanti masterchef di turno che dilagano in televisione. Loro devono stupirti con la rivisitazione del piatto con la fusion modaiola con la cucina d’avanspettacolo il piatto  è presentazione. Bollano come maiali sfigati i Nandi di turno sorpresi a fare la scarpetta nella teglia unta dove la Sora Lella ha preparato l’amatriciana. Poi vi sono quelli che ingurgitano tutto, mangiano così tanto fino al punto che non possono più mangiare nulla. Il loro rapporto con il cibo soprattutto nei momenti festivi è una mescolanza di processioni con indigestioni, di balli con sballi alimentari. L’attenzione al mangiar bene e al mangiar meno non deve essere liquidata come la mania di chi vuole perdere qualche chilo prima dell’estate. Stiamo parlando di salute e di una scelta vitale per la salute e per la sopravvivenza di intere fasce di popolazione.

La globalizzazione ha sostituito però la cucina tradizionale povera con una omologazione del gusto facendoci perdere sapori, memoria, tradizioni e sostenibilità. Il cibo sta perdendo il suo valore simbolico di socializzazione, di festa, di incontro di amicizia per ridursi ad elemento di nutrizione non salutare o di avanspettacolo televisivo. Ma il cibo dovrebbe essere buono, sostenibile per l’ambiente, del territorio e a km zero.

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L’industria agroalimentare è una fabbrica di cibo che con una catena di montaggio controlla tutto dal seme al supermercato. Il cibo, vettore di molti diritti, tra cui il diritto alla salute, è diventato soltanto merce.  La produzione di cibo è passata da un cibo agricolo sano e naturale ad uno tecnico-industriale con l’immissione della chimica nel comparto alimentare. Per il mercato della sanità è meglio curare che prevenire. Il mercato continua a produrre cibo in eccesso produciamo cibo per 12 miliardi di persone ma i viventi sono 7 miliardi Il mercato della salute propone rimedi per l’obesità, il diabete, i disturbi cardiocircolatori in cui hanno un peso determinante  i danni da cibo altamente industrializzato  e quelli di uno stile di vita sempre più sedentario.  In Italia vi sono sette supercentrali d’acquisto che aggregano 21 catene della grande distribuzione l’80% del mercato appiattendo la contrattazione a danno di produttori e consumatori.

“Un consumo massiccio di carne rossa può aumentare del 43% il rischio di contrarre alcuni tipi di tumore(Fonte:World Cancer Research Fund,2011)” L’educazione del cittadino ad una alimentazione buona, pulita  e giusta è anche educazione al rispetto dell’ambiente ,delle risorse della terra e della vita intera. Una bistecca richiede il consumo di 2600 litri di acqua. Il 30% della superficie agricola del pianeta oggi è occupato da coltivazioni destinate alla produzione zootecnica ottenuta mediante la deforestazione di terreni per fare spazio a cereali e leguminose tra cui mais, soia oppure pascoli. La produzione di carne incide nell’18% dell’effetto serra per l’emissione carbonica, per il trasporto degli animali e per la distribuzione della carne. Gli animali sono trattati come macchine per la produzione di cibo vivono pochi anni o nel caso dei polli solo poche settimane. E una volta macellati sono smaltiti come scarti industriali. Ma gli allevamenti possono anche essere estensivi in cui gli animali si nutrono di erba, fieno, cereali prodotti localmente nel pieno rispetto dell’ambiente, con allevatori che li trattano con rispetto. L’educazione alimentare e con essa la conoscenza è alla base della prevenzione  delle malattie croniche. Un investimento e non uno spreco La difesa della salute della madre terra è difesa della nostra salute. Il consumo responsabile significa cominciare a leggere l’etichetta e interessarsi della provenienza del cibo. Gli studi epidemiologici negli ultimi anni hanno dimostrato che più ci avviciniamo allo stile dell’alimentazione mediterranea tradizionale, dove troviamo cereali integrali, legumi, verdura, frutta, noci, nocciole, mandorle, olio d’oliva, e meno ci ammaliamo di infarto, ictus, cancro, Alzheimer, malattie infiammatorie. Gli studi sono molto chiari a riguardo: lo stile mediterraneo è protettivo nei confronti delle malattie croniche del nostro tempo».

Obesità, diabete, malattie cardiovascolari, tumori, morbo di Alzheimer. Oggi il cibo sulle nostre tavole può voler dire salute, oppure no.  La dieta mediterranea  è una filosofia, un modo di essere, è uno stile di vita, è equilibrio ambientale, cibo sano, variato e senza eccessi. Non si tratta di nutrizionismo, ma di ripercorrere la saggezza di un territorio. Una saggezza che si può applicare ovunque, riproporre, adattare a qualsiasi paniere di ingredienti locali, ingredienti di cui dovremmo conoscere la provenienza. E’ il cibo a filiera corta, è il cibo del territorio è il cibo identitario è il cibo dei piccoli produttori. Ma esiste ancora ?

La risoluzione dell’UNESCO, che ha riconosciuto il valore immateriale della dieta mediterranea, ha contribuito a spostare l’attenzione dai singoli alimenti ai comportamenti che vanno analizzati senza incorrere nella retorica della riscoperta, della classicità o della naturalità. Ma anche nel cibo, il Sud ha dimostrato una sudditanza passivamente accettata anche al cibo globale senza alcuna voglia di riscatto, una popolazione che non ha creduto in sé stessa. In Italia purtroppo si è assistito a un deciso allontanamento dalla tradizionale Dieta Mediterranea Italiana di riferimento, con aumento delle patologie cronico degenerative non trasmissibili legate allo stile di vita sedentario, ma soprattutto alle abitudini alimentari sbagliate, con consumi elevati di cibo di bassa qualità che oscilla tra grassi saturi e cereali raffinati.

La dieta mediterranea non è privazione, è misura, è regola, socialità, convivialità privilegiando i prodotti della terra; il trittico: frumento, olio, verdure e legumi. Frutta con guscio nocciole, pistacchi, mandorle, noci (elementi ricchi di omega 3) ;cereali, legumi, olio d’oliva, pane, pasta pesce due volte a settimana carne una volta a settimana e anche meno se proveniente da allevamenti intensivi. Cibo che viene dalla terra, da quello che noi abbiamo ulivo, olio; vite; frumento, pane e pasta; mare, pesce azzurro. I grassi acidi insaturi svolgono un’ importante azione di riequilibrio ed antiinfammatoria. I carboidrati non raffinati e quindi integrali sono ricchi di polifenoli possedendo azione antiossidante. Buona parte delle verdure oltre alle vitamine e ai sali minerali contengono sostanze come l’ossido nitrico che è fondamentale nella regolazione della pressione. Le fibre vegetali presenti nella crusca accelerano la motilità intestinale, liberando l’organismo dalle sostanze tossiche. L’ olio extra vergine d’oliva, ricco di polifenoli, aiuta a proteggere le membrane cellulari dai danni ossidativi provocati dai pericolosissimi radicali liberi.

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L’etichetta che peraltro non leggiamo aiuta poco. È il caso dei prodotti etichettati come integrali e che costano più degli altri: pane, pasta, fette biscottate, crackers, prodotti da forno, biscotti e dolci. La maggior parte di essi è prodotta con farina raffinata industrialmente (la cosiddetta 00) a cui viene aggiunta una crusca devitalizzata e finemente rimacinata, ossia un residuo della lavorazione di raffinazione. Ad esempio il “non pane integrale” che si trova in ogni supermercato, contrariamente al pane integrale ha un colore chiaro da farina raffinata inframmezzato da punti scuri (la crusca macinata riaggiunta).

La cittadinanza e il cibo sono stati privati di una storia millenaria ormai siamo alla negazione di quel legame stretto tra gusto, sapori, bontà e diritto al cibo sano naturale che sono alla base della tradizione popolare e della salute. Il cibo è un diritto e ha un valore, non esiste soltanto l’economia esiste anche la tutela della salute esiste anche l’etica pubblica esiste la tutela del territorio, la bellezza del paesaggio, e quindi dovrebbe esistere anche il consumo responsabile. Un conto è assaggiare ogni tanto i prodotti animali e caseari della tradizione un conto è farne un uso quotidiano, dimenticando che quei prodotti si mangiavano nelle festività. eccessi. Ecco: non si tratta di nutrizionismo, ma di ripercorrere la saggezza e la cultura di un territorio. Una saggezza che si può applicare ovunque, riproporre, adattare a qualsiasi paniere di ingredienti locali.  La provenienza, l’appartenenza, l’identità delle persone sono riconoscibili da quello che mangiano e da come trattiamo il cibo. Sulla validità scientifica, ecologica e medica di questo modello alimentare non vi sono dubbi il vero problema che in molti casi il cibo che dovremmo consumare è industriale e non tiene conto di provenienza e origine del cibo.

Il Codice Europeo contro il Cancro, si basa su tre suggerimenti:

mangia cereali integrali, legumi, verdura e frutta(la frutta zuccherina va invece ridotta se il tumore è già conclamato, in quanto gli zuccheri alimentano la cellula tumorale)

limita i cibi ad alto contenuto calorico(cibi con alto contenuto di zuccheri e grassi) ed evita le bevande zuccherate.

evita la carne conservata; limita la carne rossa e i cibi ad alto contenuto di sale.

E’ bene evitare i cibi raffinati e i grassi, oltre ad alcuni metodi di cottura, come la brace e la frittura.

” Si stima che il 42% di tutti i casi di cancro e quasi la metà di tutti i decessi per cancro negli Stati Uniti nel 2014 siano attribuibili a fattori di rischio valutati, molti dei quali potrebbero essere stati mitigati da efficaci strategie preventive “Se questa fosse una pillola, l’articolo verrebbe intonacato sulla prima pagina di ogni giornale e tutti noi saremo incaricati di prenderlo indipendentemente da quanto costi. Ma non è una pillola. È uno stile di vita sano, libero e dal quale nessuno può fare profitti. Quindi, possiamo dimenticarcene e proviamo a salvare noi e chi ci sta a cuore con il cibo da agricoltura sana.

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Storia 5 cose che (forse) non sai sul cibo in scatola

Dai contenitori in legno dell’antichità, alle bottiglie di vetro, ai barattoli di latta: ecco come ci siamo ingegnati nei secoli per conservare il cibo a lungo.

Barattoli di vetro, tubetti di alluminio, lattine, scatolette e altri contenitori di varia natura. Dai tempi più antichi, l’uomo si è sempre ingegnato per mantenere inalterate le proprietà degli alimenti per lungo tempo. Risultato? Il cibo in scatola che tuttora troneggia nei supermercati: ecco la sua storia in cinque curiosità.

1 – NELL’ANTICA ROMA. Già i nostri antenati avevano escogitato vari escamotage utili a conservare il cibo. La prima cosa che notarono era che i fattori di deterioramento degli alimenti erano aria e umidità. Così fecero dei tentativi di conservazione usando pelli e ossa animali, all’interno delle quali, si scoprì, il midollo rimaneva commestibile a lungo. Con lo sviluppo della civiltà urbana si passò all’uso di contenitori in legno o terracotta, in cui venivano inseriti frutta, legumi essiccati e verdura, riposti poi in ambienti asciutti. Per olio e vino si ricorreva ad anfore e giare chiuse con tappi di legno avvolti da stoffe. A queste soluzioni, diffusissime nell’antica Roma, si affiancarono espedienti come la salagione, l’affumicatura e il congelamento (già diffusi tra cinesi ed egizi), utili a rinviare la scadenza degli alimenti.

2 – IL CIBO VA IN BOTTIGLIA.  Le antiche soluzioni per conservare il cibo rimasero in auge per tutto il Medioevo e oltre, ma nel frattempo si registrò la nascita delle moderne bottiglie (grazie soprattutto ai vetrai veneziani e inglesi), dotate a partire dal XVIII secolo di robusti tappi di sughero che aprirono una nuova era per il mondo dei vini. Nel 1810, il pasticcere francese Nicolas Appert realizzò il suo “cibo in bottiglia”, aggiudicandosi la vittoria in un concorso lanciato da Napoleone il cui premio era destinato a chi avesse ideato un sistema per conservare i cibi dei soldati impegnati in guerra. Appert vinse grazie a un metodo – detto da allora “appertizzazione” – basato sull’uso di una bottiglia di vetro con tappo a chiusura ermetica. Inserendo del cibo al suo interno (fino all’orlo, per eliminare l’aria), avvolgendola in un panno e immergendola per ore in acqua bollente (affinché gli ingredienti ultimassero la cottura), ottenne un alimento in grado di conservarsi a lungo. Il pasticciere, ovviamente, non sapeva che erano l’alta temperatura di cottura e la chiusura ermetica che impedivano il proliferare dei germi: il ruolo dei microrganismi nel processo di decomposizione sarà scoperto mezzo secolo più tardi da Louis Pasteur.

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3 – IL PASTO DEI SOLDATI IN GUERRA. Fu l’imprenditore britannico Peter Durand, nel 1812, a usare, al posto delle bottiglie, dei barattoli realizzati con leggeri fogli di stagno. Questa strada fu battuta da altri due britannici, Bryan Donkin e John Hall, che nel 1813, dopo aver acquisito il brevetto di Durand, avviarono la prima produzione industriale di cibo in scatola (si cominciò con le conserve per poi passare a carni e minestre), non troppo diverso da quello esposto oggi nei supermercati. L’uso di cibi inscatolati cominciò a diffondersi con la Guerra di Crimea (1853-1856), quando iniziarono a rappresentare un valido sostegno per i soldati. Durante la Guerra civile americana (1861-1865), l’usanza prese piede anche Oltreoceano. Parallelamente furono elaborati i primi apriscatole e nel 1866 vide la luce la cosiddetta “apertura a chiavetta” (per la quale un bastoncino metallico viene fissato al coperchio della scatoletta per “srotolarlo” lentamente).

4 – SCATOLETTE PER TUTTI I GUSTI. Attorno 1850, prendendo spunto dai tubetti di metallo per vernici, l’italiano Cesare Balena lanciò la pasta d’acciughe in tubetto. Il cibo in latta – o “banda stagnata” – conobbe ulteriori evoluzioni con l’imprenditore Francesco Cirio, che all’Esposizione Universale di Parigi (1889) presentò i suoi pomodori in scatola. Nel 1881 Pietro Sada spopolò grazie alla carne bollita in scatoletta (perfezionata nel 1923 con l’aggiunta di gelatina). Nel corso del Novecento, l’industria conserviera si è espansa, invadendo il mercato con scatolette d’ogni forma: basse e rettangolari (tipiche delle sardine), cilindriche (usate per legumi, pelati e zuppe) e tonde (destinate in prevalenza a tonno e cibo per animali). Nel campo delle bevande, si aggiunse nel 1935 la lattina per lanciata dall’azienda americana Gottfried Krueger Brewing.

5 – SPACE FOOD IN ORBITA. Gli alimenti inscatolati hanno conosciuto il loro definitivo boom dal secondo dopoguerra. Nel corso dei decenni seguenti, pur non cambiando nel loro aspetto essenziale, i contenitori hanno subìto varie migliorie sia all’interno, con rivestimenti utili a non alterare i cibi, sia all’esterno, con l’adozione di coloratissime etichette e di aperture “a strappo”. Il cibo in scatola ha quindi continuato ad accompagnarci anche nel nuovo millennio, sbarcando persino nello Spazio (si parla in proposito di “space food”), con tubetti ripieni di paste di vario genere, alimenti sottovuoto e versioni a prova di gravità ridotta delle intramontabili scatolette.

https://www.focus.it/cultura/storia/5-cose-da-sapere-cibo-in-scatola

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Come l’industria alimentare ha trasformato il cibo che mangiamo

Nell’ultimo secolo abbiamo assistito ad una evoluzione alimentare e contemporaneamente a un declino, in quanto il sistema ha puntato tutto su quantità e prezzo. Cioè a produrre la massima quantità possibile al prezzo più basso possibile, ignorando gli effetti disastrosi che questo avrebbe potuto causare sulla qualità e il profilo nutrizionale degli alimenti. E sulla nostra salute. In questo articolo parleremo delle differenze nutrizionali tra cibo industriale e pre-industriale prendendo in considerazione quattro alimenti che mangiamo tutti i giorni o quasi: la carne di pollo, il pomodoro, la pasta, la pizza.

Cibo industriale VS artigianale: il pollo

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Uno studio del 2010, pubblicato su varie riviste scientifiche tra cui Public Health Nutrition dell’Università di Cambridge, presenta una analisi del pollo dal punto di vista del profilo nutrizionale e dal punto di vista dell’evoluzione storica nel metodo di allevamento. Se guardiamo alla tabella, appare inconfutabile un trend peggiorativo riguardo i contenuti di grassi e di proteine del pollo oggi in commercio. Da fine ‘800 ad oggi si registra un aumento enorme nel contenuto di grasso. Ne troviamo infatti tra il 2 e il 4% alla fine dell’800, poi aumenta fino al 23% di oggi. Parallelamente il contenuto di proteine cala. Una volta il contenuto era costantemente sopra il 20% e ora invece siamo nettamente al di sotto (16%). Il contenuto di calorie è passato dalle 110-120 Kcal per etto dei polli di fine ‘800 alle 270 calorie del pollo di oggi.

Se poi guardiamo la tabella 2 dello studio, che analizza il profilo di grassi omega-6 e omega-3, vediamo come il grasso omega-6 è drasticamente aumentato anche solo rispetto ai polli degli anni 70 del secolo scorso, passando da un 14% circa ad un 20-28% attuali. Viceversa il contenuto di grassi omega-3, i grassi buoni antinfiammatori, è diminuito in maniera pesante. Di oltre un decimo rispetto a quello degli anni 70. Agli inizi del secolo scorso un pollo impiegava in media 16 settimane per raggiungere il peso di 1 chilo e mezzo, oggi impiega un terzo del tempo (5-6 settimane) e viene macellato quando non ha ancora raggiunto nemmeno la pubertà. Oggi un pollo in allevamento intensivo può essere pronto per la macellazione in meno di 6 settimane. Una gallina deponeva in media circa 90 uova l’anno negli anni ’30, oggi ne produce facilmente almeno 250.

Cibo industriale VS artigianale: il pomodoro

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Se confrontassimo un pomodoro degli anni ’70 e uno di oggi, apparentemente non noteremmo grosse differenze, oltre al fatto che quello di oggi è un po’ più grosso e forse un po’ più bello a vedersi. Se potessimo assaggiarli entrambi, però, ci accorgeremmo subito che quello di oggi ha un sapore molto più “diluito”. Dire che il pomodoro di oggi non sa più di niente non ha solo a che vedere con la bontà, ma riflette un gravissimo problema nutrizionale.

Il pomodoro che non sa di nulla è un cibo industriale impoverito di vitamine, minerali e sostanze antiossidanti che sono appunto gli elementi che conferiscono al pomodoro, fra le altre cose, il suo sapore. E questo significa non solo che il pomodoro di oggi è meno buono, ma che per avere la stessa quantità di vitamina C o di licopene (il caratteristico antiossidante dei pomodori) che cent’anni fa ottenevamo mangiando un pomodoro, oggi bisogna consumarne forse due o tre.

Infatti, maggiore è la resa per ettaro nei campi (agricoltura intensiva industriale) e minore sarà il contenuto di licopene e vitamina C. Alla pianta infatti servirebbe un terreno non impoverito di sostanza organica e un lasso di tempo più lungo per conferire al frutto un buon contenuto di vitamine, minerali e antiossidanti. Con l’agricoltura intensiva invece si punta a ridurre i tempi di maturazione della pianta e si impoveriscono i terreni con forte utilizzo di sostanze chimiche di sintesi come fertilizzanti, pesticidi, fungicidi ecc. L’agricoltura industriale raccoglie i frutti ancora in parte acerbi, anche per esigenze di logistica e trasporto delle merci nelle lunghe distanze (se raccogliessimo il frutto quando è maturo, arriverebbe nei supermercati “troppo” maturo e non sarebbe desiderabile per il consumatore).

In agricoltura l’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi impoverisce il suolo. Il fertilizzante di sintesi, infatti, pur fornendo azoto e facendo crescere la pianta più in fretta, non ha nulla a che vedere con un suolo naturalmente fertile in cui la pianta trova anche molte altre sostanze organiche. E quando la pianta è troppo “coccolata” (ovvero protetta da sbalzi climatici, insetti ecc. come avviene ad esempio nelle produzioni in serra) non ha più bisogno di produrre quei fitocomposti come i polifenoli, il licopene ecc. che sono delle difese per la pianta e anche per noi: ci aiutano infatti nella prevenzione delle malattie.

Cibo industriale vs artigianale: la pasta

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Anche per la pasta possiamo registrare differenze significative tra un prodotto industriale e uno artigianale o più tradizionale. La cottura del grano e dell’amido in generale comporta la formazione di sostanze tossiche come la furosina e gli AGEs (prodotti avanzati della glicazione). Questo è un problema alimentare di cui quasi nessuno parla in Italia, ma che è in realtà addirittura normato e disciplinato per legge, purtroppo al momento solo per la produzione dei formaggi. Vediamo dunque più nel dettaglio questo problema.

La pasta secca, al contrario della pasta fresca e dei cereali in chicco, deve essere appunto essiccata prima di diventare commestibile. Nel processo industriale dell’essiccazione la pasta perde acqua e concentra la sua densità nutrizionale. Il trattamento di essiccazione ad altissime temperature tuttavia cambia il valore nutrizionale del frumento, cosa che suscita qualche perplessità tra gli esperti. I sistemi di essiccazione industriali (detti HTST e VHTS) permettono di raggiungere temperature molto elevate e di ridurre i tempi di lavorazione/essiccazione, con notevole risparmio sui costi. In commercio troviamo paste essiccate in poche ore ad alte temperature, ma anche pasta essiccata lentamente in tempi lunghi e con temperature più basse.

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La furosina (ε-furoilmetil-lisina) è una sostanza tossica che deriva dalla unione tra una molecola di glucosio e un gruppo amminico delle proteine contenute nelle farine. Si forma nella fase terminale della lavorazione della pasta secca, quando la percentuale di acqua scende fino al 12%. L’essiccazione ad alte temperature e bassi valori di umidità del prodotto è la causa principale di formazione di furosina. Nelle parole di un nutrizionista di lunga esperienza come il Dott. Pier Luigi Rossi, questa sostanza «è aggressiva sui villi intestinali, viene assorbita nell’intestino tenue, entra nel sangue, non può essere bloccata, si diffonde nel tessuto connettivo presente in ogni organo per connettere le cellule tra loro. Destruttura il collagene e il tessuto connettivo compromettendo la nutrizione e la ossigenazione delle cellule. Può essere eliminata solo attraverso il rene. Insomma è una molecola inquinante».

La furosina andrebbe quantomeno limitata, cercando di assumere con più moderazione i cibi che la contengono (la pasta, il pane, la pizza ed il latte UHT sottoposto a trattamenti

termici ad alte temperature). Secondo quanto riportato in letteratura i valori di furosina oscillano da 100 a 200 mg/100 g di proteine quando le temperature di essiccazione sono inferiori agli 85°C. La pasta con valori di furosina inferiori a 200 viene considerata un prodotto con un buon indice di qualità nutrizionale, perché la quantità degli aminoacidi essenziali (come la lisina) restano elevate.

Che pasta scegliere? Ricercare quei marchi di pasta che garantiscono una essiccazione lenta e a basse temperature è sicuramente un criterio di qualità su cui puntare. Molti dei produttori di pasta che possiedono aziende piccole, a conduzione familiare o comunque che non hanno uno sbocco nella Grande Distribuzione hanno di solito metodi di essiccazione della pasta meno industriali e quindi offrono un prodotto di qualità superiore al marchio di pasta industriale. Per non parlare poi dei piccoli produttori di pasta fresca (sia all’uovo che semplice). Anche questi, di solito sempre a dimensione locale o artigianale e non industriale, ci dispensano dalla preoccupazione della furosina. Come abbiamo detto la furosina si crea durante il processo di essiccazione, ed è assente nella pasta fresca quindi.

Cibo industriale vs artigianale: la pizza

Esaminiamo ora l’etichetta di una pizza surgelata in vendita al supermercato: vedremo subito una elaborata lista di ingredienti, cosa che si traduce in una bassa qualità nutrizionale dell’alimento. Infatti, più ingredienti sono presenti e più il prodotto è industriale e di bassa qualità, e questo vale come regola generale per ogni alimento. L’esempio in questione è una pizza surgelata al salame.

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In etichetta sono presenti ben 29 diversi ingredienti. Se il consumatore volesse sincerarsi delle genuinità di questo prodotto dovrebbe perlomeno leggere tutti gli ingredienti e capire di cosa si tratta. Sono presenti farina 0, salsa di pomodoro, sale e formaggio, quelli classici di ogni pizza. È presente anche l’olio, ma quale olio è stato usato? L’olio di colza, soprattutto, e in misura minore l’olio extravergine di oliva. Passiamo ad analizzare gli altri ingredienti della nostra pizza industriale. Il salame affumicato contiene un conservante nocivo, il nitrito di sodio. Si tratta di un conservante molto comune per carni e insaccati, che tuttavia nel 2015 è stato inserito dall’OMS tra le sostanze cancerogene di prima classe, in quanto nel nostro organismo tende a combinarsi con altre sostanze dando origine a dei composti altamente cancerogeni chiamati nitrosammine. Secondo l’AIRC (Associazione italiana per la Ricerca sul Cancro) un consumo eccessivo e regolare di nitriti è associato ad un aumento del rischio di tumori dello stomaco e dell’esofago.

Un altro ingrediente che troviamo nel salame di questa pizza surgelata è il destrosio, uno zucchero semplice ottenuto dalla lavorazione degli amidi del mais o dalla fecola di patate. Ha la mera funzione di esaltatore di sapidità in questo caso, dato che come conservante c’è già il nitrito di sodio. Ma l’aggiunta di zuccheri “nascosti” all’interno della nostra pizza non si ferma a questo: infatti troviamo la presenza anche di zucchero, maltodestrine e caramello. Le maltodestrine sono zuccheri a rapido assorbimento: si assimilano più in fretta del comune zucchero e hanno un indice glicemico più alto. Per questo sono molto utilizzate da chi pratica sport a livello agonistico. Ovviamente sono aggiunte inutili nel cibo delle persone comuni con fabbisogni di zucchero molto inferiori a quelli di un atleta.

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Il caramello è anch’esso uno zucchero, il risultato della cottura del saccarosio sino alla sua fusione, che avviene a temperature di oltre 160°C. Il fenomeno di cottura degli zuccheri dà origine ad un’altra sostanza molto problematica e tossica per la nostra salute, l‘acrilammide, di cui sentiamo spesso parlare. E il caramello ne è appunto ricco. Da segnalare in questa pizza anche la presenza di amido modificato, un altro carboidrato ottenuto sempre dalla lavorazione dell’amido di mais o dalla fecola di patate, che serve per dare una consistenza più gradita al consumatore nel prodotto. Altri ingredienti del tutto improbabili per una pizza fatta in casa o anche da pizzeria, sono le proteine vegetali idrolizzate (si tratta solitamente di proteine di soia che rivestono la stessa funzione del glutammato come esaltatori di sapidità).

Appaiono del tutto evidenti le grandi differenze di contenuto nutrizionale e di salubrità tra un cibo industriale come le pizze surgelate e un cibo casalingo-artigianale. Dubito infatti che vostra moglie o il pizzaiolo sotto casa possano pensare di aggiungere caramello, destrosio e proteine idrolizzate nell’impasto della pizza

Conclusioni

La prima cosa da fare è usare il senso critico quando si va a fare la spesa. Soffermatevi a valutare qualche istante il prodotto (aldilà del prezzo e delle diciture in evidenza), a leggere l’etichetta degli ingredienti e prestate attenzione alla scelta di prodotti davvero di qualità, preparati con pochi ingredienti e se possibile di produzione locale o regionale e freschi.

Ne guadagnerà la vostra salute e anche l’ambiente che ci circonda, e darete il vostro sostegno a chi produce il cibo in maniera più pulita. Ricordate sempre che l’etichettatura dei prodotti è l’elemento di maggiore democraticità che esista: consente di fare scelte consapevoli e libere.

https://www.lindipendente.online/2021/07/14/come-lindustr-alimentare-ha-trasformato-il-cibo-che-mangiamo/

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Guida definitiva a Expo 2020 Dubai, ecco cosa vale la pena vedere davvero

Per la prima volta nella storia dell’Esposizione Universale gli Emirati Arabi Uniti ospitano la mostra delle eccellenze del pianeta e dell’ingegno umano applicato. Questo è un viaggio intorno al mondo che ci insegna a progettare un futuro migliore. 192 paesi partecipanti. Tre parole chiave importantissime come sostenibilità, mobilità e opportunità. 6 mesi di apertura, dal 1 ottobre 2021 al 31 marzo 2022, per un totale di 10 settimane tematiche in cui navigare dentro e fuori i confini dello scibile umano. E questo scenario fitto non è che la punta più estrema dell’astronave fantasmagorica appena atterrata sulla sabbia di Dubai Expo 2020, l’esposizione universale per la prima volta ospitata negli Emirati Arabi. Connecting Minds and Creating the Future, è il titolo suggestivo con cui decidere non solo di approfondire tematiche urgenti, ma di accarezzare l’idea di programmare un volo diretto all’epicentro dell’evento. Cosa vedere e come arrivare a Expo Dubai è già realtà. Qui c’è una guida ragionata sulle idee più innovative, inclusive e intelligenti che la nostra società può scegliere di applicare nel prossimo futuro per un ideale benessere comune. A corredo di un viaggio in stile Gran Tour del terzo millennio un passaporto, alias di quello vero, con 50 pagine da affollare con i timbri di ciascun paese partecipante.

Expo Dubai, i padiglioni da vedere sono suddivisi in distretti

L’intento di Expo 2020 di Dubai è esaltante. Il più grande incontro di culture mai visto sino ad ora si prepara a una missione altrettanto universale. Riuscire a connettere razionalmente ogni mente per ridisegnare quel futuro migliore a cui tutti auspicano. Come? Semplice. All’indirizzo di Expo Dubai in Expo Road, in un’area così vasta da superare quella di Central Park a New York e del Principato di Monaco, sono stati istituiti tre distretti principali dentro cui collocare i padiglioni dei 192 paesi partecipanti. Semplificazione e quindi tre ambiti distinti ma comunicanti tra loro: Sustainability, Mobility e Opportunity.

 

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I padiglioni a tema sostenibilità da vedere a Expo Dubai

Natura e tecnologia potranno mai convivere in armonia? È questa la visione con cui il distretto dedicato alla sostenibilità accoglierà per sei mesi i più di 50 mila visitatori giornalieri. Le risposte arrivano sin da subito grazie a passeggiate all’ombra di alberi smart pensati come “pannelli solari e ”condensatori d’acqua”, a fianco del flusso di approvigionamento idrico dei falaj, canali di irrigazione antichissimi nati per la ripartizione delle risorse d’acqua tra i villaggi. A turbare le coscienze sul tema della sostenibilità c’è Gnasher, una gigantesca creatura dalle fauci aguzze impegnata a ingurgitare senza limite lo scarto abnorme prodotto dal nostro consumismo indefesso. Il nome della struttura-madre del distretto della Sostenibilità è un sostantivo italiano. Il Padiglione Terra di Expo 2020 Dubai porta la firma dello studio inglese Grimshaw Architects e si basa sui più alti e performanti principi di architettura sostenibile riconosciuti dalla certificazione LEED Platinum. Ricoperto da 4912 pannelli solari, il padiglione più virtuoso di Expo è in grado di generare qualcosa come 4GWh di energia pulita all’anno che è come dire avere a disposizione una potenza utile a ricaricare più di 9000 telefoni cellulari in una sola volta. All’interno del padiglione Terra si assiste a un vero a proprio viaggio negli oceani e nelle foreste del pianeta e i visitatori si troveranno di fronte l’immagine di uno scenario sempre più green. Sarà così inevitabile una profonda riflessione sui problemi cruciali che attanagliano la salute del nostro ecosistema.

Mobility, il distretto dei padiglioni di Expo Dubai 2020 racconta come ci sposteremo nel futuro

Se la pandemia ha contribuito a sottolineare quanto le connessioni siano importanti e quanto stretti gli uni agli altri possiamo porci nelle relazioni di ogni giorno, così il distretto della Mobilità di Expo 2020 Dubai puntualizza e apre discussioni sugli orizzonti che guidano noi umani al progresso non solo nello spostamento fisico, quanto nello scambio di idee e informazioni. Reale e virtuale qui trovano dinamiche innovative destinate a renderci una comunità globale sempre più connessa. Autoveicoli in auto-drive e tecnologie automotive sofisticate, viaggi spaziali supportati dal programma UAE National Space e lo storytelling della missione su Marte da parte degli Emirati, fanno del distretto della Mobility un autentico salto nel tempo. L’area espositiva include anche una corsia lunga 330 metri sdoppiata, sia in sotterranea che in esterna, dove sarà visibile e tangibile le performance test dei veicoli del futuro. Alif, il padiglione della Mobilità, disegnato dal pluripremiato studio Foster + Partners, ospita il più largo ascensore mai realizzato al mondo. Capace di trasportare oltre 160 ospiti a viaggio, l’ascensore contribuisce a condividere il messaggio più importante che sta alla base del concept di questa tematica di Expo 2020, la proiezione di uno scambio di beni, servizi e idee sempre più rapido e continuo. Con così tanti spunti, come l’evoluzione delle smart cities e la robotica ormai capillarmente presente nelle nostre vite, tutta questa evoluzione tecnologica sarà davvero un aiuto o una netta limitazione delle nostre privacy?

La Mission Possibile del distretto delle Opportunità è la scommessa più grande di Expo Dubai 2020

Commutare i sogni e le aspirazioni in realtà è il mantra del distretto dedicato alle Opportunità, dove anche il Padiglione Italia ha posato le sue fondamenta e con cui stimola i visitatori a fare tesoro dei propri talenti. Solo così sarà possibile modellare un futuro migliore mettendo a frutto il potenziale e il meglio di ciascuno. Quello che si potrà esperire nel distretto delle possibilità si allinea alle connessioni tra i change-makers e i social innovators chiamati a raccolta dai paesi partecipanti decisi a sottoscrivere una grande verità. Se basta davvero l’azione di un singolo a innescare il cambiamento, dove porterebbero quelle di 8 miliardi di individui? Con l’aiuto di tre mentori speciali le cui azioni seppur piccole in merito a cibo, acqua e risorse energetiche hanno portato nelle loro comunità cambianti positivi, il tour di questo distretto raccoglie una mission importante, combattere entro il 2030 la povertà, proteggere il pianeta dall’irreversibilità di una salute climatica compromessa e favorire la pace tra i popoli.

Expo Dubai 2020 è anche food experience per testare da vicino il sapore del Novacene

Dietro al progetto tasting di Expo Dubai 2020 The Future of Food: Epochal Banquet, attività collocata all’interno del distretto delle Opportunità, c’è lo studio di Bompas & Parr, il collettivo dinamico inglese pronto a nutrire stomaco e spirito con una esperienza dining immaginifica. Un menù stellare permetterà ai commensali di viaggiare per due ore mezza nel futuro tra assaggi macrobiotici, antipasti glow-in-the-dark, degustazioni di collagene vegetale e bocconi dolci muta-gusto in compagnia di un companatico d’eccezione, l’intelligenza artificiale. Questa è l’invito ad entrare nel 2320 e vivere appieno l’essenza del Novacene, l’era successiva all’Antropocene teorizzata dall’ultra centenario scienziato e inventore James Lovelock attualmente ancora vivo e attivo. Dopo un periodo in cui è stato l’uomo ad aver innescato cambiamenti radicali al pianeta, a dettare le regole del gioco presto toccherà a robot e algoritmi. Sapremo esserne all’altezza senza rovinare tutto? Di Expo Dubai 2020, date, tema e delle bellezze del Padiglione Italia sappiamo ormai quasi tutto. Studenti e giovanissimi sino a 17 anni entrano gratis, così come gli over 60.

https://www.lofficielitalia.com/arte/expo-2020-dubai-cosa-vedere-come-arrivare

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Cibo in scatola quale scegliere e a cosa prestare attenzione

Avere in dispensa del cibo in scatola può essere utilissimo quando non si hanno a disposizioni alimenti freschi. Scopriamo cosa comprare e se ci sono delle controindicazioni.

Utilizzare il cibo in scatola è un’abitudine consolidata e diffusa in tutte le cucine, soprattutto per la sua comodità. Ma spesso si utilizzano gli alimenti in scatola anche per preparare piatti particolari o quando non si hanno a disposizione degli alimenti freschi. Un esempio tra tutti sono sicuramente i legumi, ma esistono moltissime varietà di questi prodotti. Anche in questo caso però, è necessario fare delle distinzioni perché ognuno di questi ha i suoi pro e contro. Perciò scopriamo cosa non può mancare in dispensa e se ci sono delle controindicazioni!

Cibi in scatola: cosa non deve mancare

Per dirsi fornita una dispensa deve avere chiaramente anche del cibo in scatola, in modo da avere a portata di mano alimenti che utilizziamo tutti i giorni, o quasi. Abbiamo accennato prima ai legumi, ma ceci, fagioli e lenticchie oltre ad essere molto usati, sono tra i cibi più diffusi di questa categoria.

Questi alimenti sono delle ottime fonti alternative di proteine vegetali e possono dare vita a moltissimi piatti come cous cous, hummus, ma anche polpette o hamburger vegetali. Inoltre sono perfetti anche da soli o come contorno alla carne, soprattutto nel periodo invernale. Un altro ottimo alleato, reperibile anche in scatolette, è certamente il tonno (con le sue controindicazioni), meglio se sott’olio o al naturale, perfetto per condire la pasta o un’insalata; e una buona fonte di proteine.

Altri esempi di cibo in scatola che non devono mancare sono il mais e i pelati. Il primo, molto pratico e salutare, contiene calcio e contribuisce ad abbassare i livelli di colesterolo LDL. Inoltre, è anche molto energetico. I pelati sono invece la variante di pomodori conservati più versatile e grazie alle tante varietà sarà utilissimo per preparare pasta, lasagne, parmigiana, spezzatino e tanti altri piatti.

Ci sono poi cibi in scatola meno diffusi ma sicuramente utilissimi in cucina, come il latte di cocco e il latte condensato. Questi alimenti si usano soprattutto per preparazioni asiatiche, creare sapori agrodolci, ma anche aromatizzare mascarpone e panna. Infine troviamo le olive indispensabili se si vogliono guarnire pizze, torte salate e per dare una spinta in più ai piatti.

Prodotti in scatola: i vantaggi

Anche nel nostro caso, come per ogni cosa, ci sono pro e contro. Per prima cosa possiamo dire che, se scelti con attenzione, sono buoni e utili, soprattutto se abbiamo a che fare con lunghe preparazioni come mettere in acqua o bollire i legumi.

Inoltre i cibi in scatola permettono di fare scorta di prodotti senza che questi vadano a male. In più il processo dell’inscatolamento preserva e protegge gli alimenti in una confezione ermetica, anche fino a cinque anni.

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Va anche detto che sono il modo migliore per reperire prodotti fuori stagione o esteri.

Cibo in scatola: le controindicazioni

Veniamo adesso alle controindicazioni che, anche se sono molte, possono essere facilmente evitabili. In primo luogo possiamo dire che per individuare dei cibi in scatola di qualità bisogna leggere attentamente l’etichetta. Va da sé che tutti questi prodotti contengono conservanti, ma spesso sono naturali come olio, sale, salamoia e zucchero. Ne esistono però alcuni che contengono conservanti chimici e che sarebbe meglio evitare. Stesso discorso vale per i prodotti troppo elaborati e raffinati o che contengono troppo sale.

In ogni caso una buona pratica è quella di sciacquare gli alimenti presi dalla scatola prima di consumarli o cuocerli, così da eliminare i conservanti. Un altro punto a sfavore dei cibi in scatola è la possibilità di entrare in contatto con il bisfenolo A, noto anche come BPA. Si tratta di un elemento largamente utilizzato per produrre le resine o le confezioni in cui si inscatolano gli alimenti.

Può capitare che piccole quantità di bisfenolo A si trasferiscano al cibo contenuto nella confezione, soprattutto con alimenti acidi come i derivati del pomodoro. I rischi per la salute ci sono ma solo in seguito ed un’alta esposizione e sono legati alla fertilità e al funzionamento di reni e fegato. Tutte queste problematiche però possono essere evitate leggendo bene l’etichetta e scegliendo prodotti di qualità, senza farvi ingannare da prodotti scadenti.

Come e dove conservare le scatolette

Ora che abbiamo capito cosa aspettarci dal cibo in scatola, scopriamo come bisogna conservarlo. In generale è meglio riporre gli alimenti in un luogo fresco e asciutto, ma soprattutto al riparo dalla luce in modo che non si scaldi.

Inoltre se utilizzate lattine, ricordate di trasferire il cibo una volta che l’avete aperta e, questi prodotti resistono per molto tempo, è bene consumarli prima della scadenza. Così non solo eviterai gli sprechi, ma eviterai di mangiare degli alimenti che hanno perso le loro qualità.

https://notiziebenessere.it/cibo-inscatola/alimentazion

CIBO E COMMERCIO

CIBO E COMMERCIO

Per la prima volta nella storia recente, l’Italia raggiunge l’autosufficienza alimentare. Grazie al sorpasso delle esportazioni sulle importazioni e sotto la spinta del cambiamento dei consumi e del commercio determinati dall’emergenza Covid, il nostro Paese ha raggiunto uno storico traguardo. A certificarlo è stato lo studio Coldiretti presentato in occasione di Cibus, la fiera internazionale sull’agroalimentare che si e’ tenuto a Parma dal 31 agosto al 3 settembre. Boom dell’export agroalimentare a 24,81 miliardi di euro (+12% rispetto al 2020)

Nel primo semestre 2021, l’export agroalimentare Made in Italy ha raggiunto, secondo Coldiretti, un valore pari a 24,81 miliardi di euro, con un aumento del +12% rispetto all’anno precedente. Superate le importazioni che, nello stesso periodo, raggiungono un valore di 22,95 miliardi di euro. Per l’associazione dei coltivatori diretti si tratta di «un cambiamento senza precedenti realizzato sotto la spinta della “fame” di Made in Italy all’estero, nonostante le difficoltà determinate dalle chiusure della ristorazione in tutto il mondo, ma anche dalla scelta patriottica nei consumi degli italiani che hanno privilegiato la qualità dei prodotti nazionali anche per sostenere l’economia ed il lavoro del Paese».

Tra i principali clienti del Made in Italy a tavola nel primo semestre dell’anno ci sono gli Stati Uniti che si collocano al secondo posto ma registrano l’incremento maggiore della domanda con un balzo del 18,4%, trend positivo anche in Germania che si classifica al primo posto tra i Paesi importatori di italian food con un incremento del 6,8%, praticamente lo stesso della Francia (+6,7%) che si colloca al terzo posto mentre al quarto la Gran Bretagna dove a causa della Brexit, con l’appesantimento dei carichi amministrativi, l’export alimentare crolla invece del’4,6%. Fra gli altri mercati si segnala la crescita del 16,5% in quello russo e un vero e proprio balzo in avanti di quello cinese con +57,7%.

Andando più nello specifico, a giugno l’aumento è stato pari al +23,1%, con una proiezione in valore su base annuale stimata in 50 miliardi nel 2021. «L’Italia può ripartire dai suoi punti di forza con l’agroalimentare che ha dimostrato resilienza di fronte alla crisi con un ruolo di traino per l’occupazione e l’intera economia», ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. «Con l’emergenza Covid – ha proseguito Prandini – il cibo è diventato la prima ricchezza dell’Italia per un valore pari al 25% del Pil con 538 miliardi di euro lungo l’intera filiera agroalimentare allargata dal campo alla tavola e ben 4 milioni di lavoratori impegnati in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio».

I consumatori nostrani comprano sempre più italiano

Risaltano le performance dei prodotti che riportano in etichetta un legame con il Belpaese: dal riferimento al tricolore alle indicazioni geografiche (Dop, Docg, Doc, Igp e Igt) gli acquisti di prodotti Made in Italy da parte degli italiani sono cresciuti del +7,6% per un valore di 8,4 miliardi di euro (secondo l’Osservatorio Nielsen Immagino).

In particolare, circa 30 milioni di italiani hanno fatto la spesa dal contadino almeno una volta al mese contribuendo alle performance record del del biologico che ha toccato i 3,3 miliardi di euro di consumi nel 2020. Un trend che valorizza l’impegno degli imprenditori in Italia che può contare sull’agricoltura più green d’Europa con la leadershio Ue nel biologico con 80mila operatori, il maggior numero di specialità Dop/Igp/Stg riconosciute (316), 5.266 prodotti alimentari tradizionali e con Campagna Amica la più ampia rete dei mercati di vendita diretta degli agricoltori. Una ricchezza da salvare che non ha solo un valore economico ma anche storico, culturale ed ambientale.

All’estero, invece, le vendite dei prodotti italiani sono state sostenute soprattutto dal paniere della Dieta Mediterranea: frutta e verdura (sia fresca che trasformata). Non mancano casi particolari, come il caviale con esportazioni triplicate nell’ultimo anno a +187%.

Potenziare la produzione per colmare i deficit e proteggersi dalle speculazioni internazionali

Ma non sono tutte rose e fiori. A livello produttivo, rimane da colmare il deficit su carne, latte, cereali. Per questo, la Coldiretti chiede un potenziamento della produzione interna in particolare per frumento duro e frumento tenero – essenziali per la produzione di pasta – in deficit, rispettivamente, del 64 e del 40% (a cui si è porso rimedio con massicce importazioni dal Canada). Ma anche per il mais, fondamentale per l’alimentazione degli animali e, di conseguenza, per le grandi produzioni di prodotti lattiero-caseari e di salumi. «In Italia – ha sottolineato la Coldiretti nel proprio report – si munge nelle stalle nazionali il 75% del latte consumato e si produce il 55% del fabbisogno di carne con l’eccezione positiva per la carne di pollo e per le uova per le quali il Paese ha raggiunto l’autosufficienza e non ha bisogno delle importazioni dall’estero».

Da ricordare che l’Italia è il primo produttore europeo di riso, grano duro e di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. E anche per quanto riguarda la frutta primeggia in molte produzioni importanti: dalle mele e pere fresche, dalle ciliegie alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne.

Lo stimolo alla produzione interna, inoltre, risponde anche alla necessità di salvaguardare il settore primario dalla corsa agli accaparramenti, con fenomeni speculativi, delle materie prime alimentari in corso sul mercato globale a seguito degli effetti della pandemia. Una situazione che ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale ai massimi da quasi sette anni trainati dalle quotazioni dei cereali. I timori sugli approvvigionamenti di cibo hanno convinto la stessa Unione Europea a lanciare una consultazione pubblica fra operatori, autorità e cittadini per realizzare un piano finalizzato a conquistare l’autosufficienza in diversi settori chiave. La volatilità dei prezzi infatti non solo penalizza i produttori agricoli, ma mette in difficoltà anche l’industria di trasformazione con l’andamento altalenante delle quotazioni che favorisce anche i fenomeni speculativi a danno dei consumatori e dei produttori.

Ettore Prandini: «Pnrr opportunità da non lasciarsi sfuggire»

A sostenere il progetto, «le opportunità offerte dal Pnrr con la digitalizzazione delle aree rurali, recupero terreni abbandonati, foreste urbane per mitigare l’inquinamento in città, invasi nelle aree interne per risparmiare l’acqua e produrre energia pulita, chimica verde e bioenergie per contrastare i cambiamenti climatici ed interventi specifici nei settori produttivi deficitari previsti nei progetti strategici elaborati dalla Coldiretti insieme a Filiera Italia per la crescita sostenibile a beneficio del sistema Paese», ha spiegato il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. A beneficiare di tutto ciò sarebbe, in primis, l’enogastronomia italiana. Ma per un pieno sviluppo del potenziale, «serve però agire anche sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo», ha aggiunto Prandini. Ogni anno, infatti, la debolezza logistica pesa per circa 13 miliardi di euro all’anno in più per la movimentazione delle merci.

https://www.italiaatavola.net/tendenze-mercato/agricoltura-cibo/2021/8/31/l-italia-ha-raggiunto-l-autosufficienza-alimentare-grazie-al-boom-dell-export-nel-2021/79593/

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Un webinar sulle condizioni per ottenere e rimborsare il prestito di istituti finanziari

La Camera di commercio Irano-Italiana, in collaborazione con l’avvocato legale della Camera, al fine di cooperare ulteriormente e supportare i suoi membri, ha organizzato, un webinar sulle condizioni per ottenere e rimborsare il prestito di istituti finanziari che si è svolto 20 Ottobre 2021,  alla presenza di Sig.ra Shahabi, la Segretaria Generale della Camera di commercio Irano-Italiana, un legale di fiducia, il Dott. Gorji e numerose società membri e non membri che avevano una società o Joint Venture in Italia.

Questo webinar è iniziato con un discorso e le spiegazioni della Sig.ra Shahabi sullo scopo di tenere questo webinar ed invitare un avvocato alla camera, e in seguito, Dott. Gorji ha quindi spiegato sulle fonti e le condizioni per ottenere e rimborsare il prestito di istituti finanziari e poi ha specificato il tipo di azienda e le sue attività, e ha detto anche le società con sede in Italia, e di conseguenza le società italo-iraniane con joint venture, possono richiedere aiuti finanziari a tasso zero (0.5% per anno) all’organizzazione Simest e ricevere gratuitamente una parte del prestito.

 

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Lui ha affermato che la registrazione per la domanda di prestito sara’ iniziata alle ore 9:30 del 28 ottobre su www.simest.it e ha anche indicato le condizioni per l’invio della domanda di prestito.

All fine, è stata data la risposta alle domande di tutti i partecipanti, di altre società e l’incontro si è concluso dopo aver ringraziato per l’esauriente spiegazione dell’avvocato.

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La Presenza del Presidente della Camera di commercio alla Cerimonia della Settimana della Cucina Italiana

Su invito dell’Onorevole Ambasciatore d’Italia in Iran, Sua Eccellenza Giuseppe Perone, Cavaliere Ahmad Pourfallah, ha partecipato il 15 dicembre 2021 alla cerimonia della Settimana della Cucina Italiana presso l’ambasciata.

In questa cerimonia privata, il presidente della Camera ha tenuto un breve discorso in occasione di questo evento e, congratulandosi per la settimana del cibo all’amato popolo d’Italia, ha anche menzionato la cultura sociale e l’arte culinaria italiana.

Il testo del discorso è il seguente:

First of all, I would like to congratulate the food’s week to all the dear Italian and the people of the world.

Cooking in the Italy is not just about eating.

Food in the Italy is a cultural and social culture and one kind of art and comes from the old families.

Among the list of Favorite foods of the people in the world, there are at least the names of several Italian dishes.

In the Iran also, Pizza and the spaghetti, which are gifts from the Italy to the rest of the world, are more popular than other foreign foods such as hamburgers and steaks.

There are a huge factory in Iran with Italian line that produce pasta and spaghetti.

Any festival like this celebration and gathering.

As someone who loves the Italy and Italian very much, I am really happy to have participated in this celebration and gathering.

I would like to thank the Ambassador and his colleagues for holding this celebration.

It is good opportunity that say Marry Christmas and Happy New Year to our friends in Embassy and Consulate a few days before.

Thanks again,

Have a nice time.

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3Organizzare un evento socio

L’organizzazione di un evento socio-sportivo dedicato a camminare e piantare alberi a cura della Camera di Commercio Irano-Italiana

A seguito dell’epidemia di Covid-19 e dell’impossibilità di tenere incontri, e per il desiderio di incontrarsi dei membri, la Camera di Commercio Irano-Italiana ha deciso di organizzare un “evento della camminata  e piantare alberelli” nel complesso culturale e sportivo di Tochal il cui con il supporto e la sincera collaborazione dei funzionari di questo complesso, il Sig. Emdad, CEO e il Sig. Hosseini, Direttore delle vendite di Tochal, si è svolta questa cerimonia.

L’evento è stato presieduto da Cavaliere Pourfallah, il Presidente della Camera di commercio Irano-Italiana, e hanno partecipato più di 70 dirigenti del settore privato, imprese ed i giornalisti.

La cerimonia è iniziata il 9 ottobre 2021, alle 08:00, dal parcheggio del Complesso Culturale-Sportivo Tochal, con una passeggiata di gruppo, ed è proseguita fino al Bame Teheran, dove si è svolta la cerimonia.

Arrivando al Bame Teheran, il presidente della camera, insieme ai diversi membri, ha piantato un albero di frassino maggiore come simbolo dell’ amicizia della camera di commercio Irano-Italiana.

Dopo l’innaffiatura, è stata posta sull’albero una targhetta con l’incisione del nome dell’albero e il nome della camera di Commercio Irano- Italiana. Dopo aver piantato l’albero, i partecipanti hanno fatto il colazione, che è stato donato dalla societa’ Kaleh in bellissimi pacchetti contenenti vari prodotti, in un incontro amichevole e cordiale. Gli ospiti sono stati inoltre accolti con il caffè dell’azienda “Aram Ghafeh Noosh Parsian”, che erano partecipati alla cerimonia con il loro caffè, attrezzature e personale.

2Organizzare un evento socio

In seguito, al fine di creare intrattenimento e presentare i prodotti delle aziende partecipanti sono stati distribuiti a sorteggio i regali fatti da loro, Prodotti delle aziende Horand (altoparlante wireless Bluetooth) Dr. Abidi (vari tipi di detersivi, prodotti per l’igiene e la disinfezione) Ponte Milano (auricolare wireless Bluetooth) “Aram Ghafeh Noosh Parsian” (tipi di caffè) alle altre aziende presenti in questo evento. L’evento, seguito da giornalisti e fotografi dei quotidiani Asia News e di altre riviste, si è concluso alle 11:30 con una foto ricordo di gruppo e l’ingraziamento  dal presidente, dalla Segretaria Generale e dei colleghi della Camera di commercio Irano-Italiana.

1Organizzare un evento socio
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la parola di caporedattore -Il cibo e noi

Secondo i miti e leggende, Adamo fu espulso dal cielo per aver mangiato una mela.Con qualche riflessione, possiamo visualizzare il ruolo della nutrizione dal primo giorno della formazione dell’universo.

Oggi, mentre le nazioni si avvicinano al villaggio globale, il cibo non è più visto come una semplice fonte di energia per la sopravvivenza.

Il movimento quotidiano di milioni di persone in aree diverse e l’allontanamento dai loro abitudini originari, e l’inevitabilmente bere e mangiare i cibi diversi, hanno dato un altro significato al cibo. Dopo la lingua, il cibo può essere considerato un fattore importante nel rapporto tra nazioni e nazionalità. Il gusto, la composizione, il colore e l’odore del cibo in paesi diversi mostrano il gusto e l’arte degli esseri umani che vivono in paesi diversi ed è praticamente un buon fenomeno.

Con questo punto importante, ognuno di noi dovrebbe dare uno sguardo diverso a questo risultato unico da oggi  ed ognuno di noi, svolgendo il proprio ruolo nell’innalzare la qualità e il corretto consumo, per consentirlo non solo per noi stessi, per la nostra famiglia e per chi ci circonda, piuttosto, ogni volta che ci mettiamo un boccone in bocca, ricordiamo che milioni di persone affamate ovunque in questo mondo terreno, desiderose di un pasto caldo o di un bicchiere di acqua potabile, trascorrono il giorno e la notte ed a volte perdono la vita a causa della malnutrizione.

Il cibo è il bisogno umano più fondamentale per sopravvivere.

Gli esseri umani hanno bisogno di energia per respirare, muoversi, circolare ed eseguire il lavoro e le attività quotidiane. Le calorie sono l’unità di energia che gli esseri umani, a seconda della loro età, peso e tipo di attività, dovrebbero assorbire attraverso l’alimentazione.

Il cibo che mangiamo contiene circa 40 sostanze molto importanti chiamate nutrienti che devono raggiungere l’organismo quotidianamente.

 

La Parola di Caporedattore

Fino all’inizio del 19° secolo, il concetto di mangiare riempiva solo lo stomaco, la sensazione di fame costringeva gli esseri umani a mangiare ciò che vedevano a disposizione, indipendentemente dalla qualità e dalla quantità. L’urbanizzazione ha causato molti cambiamenti nei modelli di consumo e nutrizione. Secondo gli scritti storici, le prime comunità urbane emersero in Asia occidentale, Egitto e Grecia. Secondo una tradizione, l’Iran è stato il primo paese al mondo in cui i primi esseri umani vivevano nell’agricoltura, nella zootecnia, nella caccia e nella pesca per soddisfare i loro bisogni alimentari. Due grandi esperti nel mondo, il Sig. Arthur Keith e il Dott. Ernst Hertzfield, hanno dimostrato in un libro intitolato Industrie iraniane che l’agricoltura e la civiltà sono iniziate dall’altopiano iraniano come Shushtar, Daghan, Persepolis e Kashan Silk Hill. Ed è stato esteso ad altre regioni, e il testo di questa raccolta mostra che la storia dell’agricoltura iraniana risale a più di 6000 anni fa.

La storia greca afferma che per rafforzare l’anima non bisogna mai dimenticare il nutrimento del corpo, e molti pensatori affermano che mangiare è uno dei tre piaceri fondamentali della vita umana. Dal 1945, il 16 ottobre (24 Mehr) è stata designata “la Giornata mondiale dell’alimentazione” dalla “Food and Drug Administration” (FAO) e molti paesi hanno incluso una settimana dell’anno come settimana del cibo nel loro programma festivo nazionale. Il primo libro di cucina è stato pubblicato in Grecia nel II secolo d.C.   Nel 1917, negli Stati Uniti, fu fondata da un gruppo di nutrizionisti, la prima Associazione dei Nutrizionisti.  Oggi l’alimentazione non viene utilizzata solo come fonte di energia per l’organismo, ma anche nel trattamento di molte malattie fisiche e anche mentali, l’uso di meccanismi legati all’alimentazione al posto dei farmaci ha un ruolo fondamentale. I laureati in Dietetica dovrebbero utilizzare tutte le loro informazioni e conoscenze per aiutare a stabilire e mantenere la salute umana.

Il termine terapia dietetica (Diet-therapy)è usato non solo per i pazienti ma anche per le persone sane. Non dimentichiamo che le esportazioni e le importazioni di cibo rappresentano un volume significativo di interazioni economiche globali e ogni nazione si sforza di fare una quota maggiore di questo vasto tavolo globale. Il grande Paese, l’Iran, pur avendo una varietà di climi e background legati a prodotti e alimenti per vari motivi (che non possono essere discussi in questo articolo), purtroppo non ha potuto essere così attivo come previsto.

 

Ahmad Pourfallah

Il Presidente della Camera di Commercio Irano- Italiana