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Dieta Mediterranea: il benessere in tavola

La dieta mediterranea dal 2010 è patrimonio dell’Unesco. Le motivazioni di tale riconoscimento sono le seguenti: “questo semplice e frugale modo di consumare i pasti ha favorito nel tempo i contatti interculturali e la convivialità, dando vita a un corpus formidabile di saperi, costumi sociali e celebrazioni tradizionali di molte popolazioni del mediterraneo”.

Quella che viene uniformata sotto la definizione di dieta mediterranea non è in realtà un modello alimentare unitario e coerente. In realtà, non è difficile constatare che anche in molte comunità costiere del Tirreno e dello Jonio il consumo di carni bovine e suine (quest’ultime anche sotto forma di salumi e insaccati), di latticini e di formaggi in genere, sia nettamente prevalente rispetto a quello di pesce. Eppure quest’ultimo, specialmente azzurro, ricco di grassi omega 3, si reperisce quotidianamente a prezzi senz’altro abbordabili. Quello che Ancel Keys ha definito come dieta mediterranea, è stato abbandonato come modello alimentare e non è stato mai praticato come modello unitario. Il cibo identitario dei poveri come ci ricorda Vito Teti era pane nero, erbe selvatiche, cibo agricolo. Il cibo “meridiano” è il cibo del mediterraneo è la cultura alimentare del meridione è il cibo identitario. Il cibo meridiano è cosa mangi, come mangi e con chi mangi. Il motto “vivi da ricco, e mangia da povero” è affascinante e in un certo senso è valido, ma bisogna riproporlo come modello alimentare del futuro perché quello che conta è origine e qualità e la qualità è solo il cibo agricolo biologico, riducendo la quantità.

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I temi della prevenzione sono scomparsi e non trovano spazio nell’agenda politica sanitaria. L’allarme ambientale derivante da deforestazione, effetto serra, inquinamento di acqua, di aria, di suolo e di cibo, oltre a minacciare la sopravvivenza della terra, minacciano tutti noi. I fattori nocivi diffusi nell’ambiente sono la causa principale insieme al cibo delle malattie tumorali. Basti pensare che quotidianamente vengono immessi  nell’ambiente circa centomila composti chimici. Li troviamo nell’aria, nell’acqua, nei suoli, nel cibo. L’attuale “sviluppo” economico non è compatibile con la tutela dell’ambiente e della salute. Evitare le malattie praticare la prevenzione non è funzionale al mercato, sicché le risorse che potrebbero andare in educazione e prevenzione, in ricerca e studio, trovano ben pochi canali e consumatori sempre meno competenti e responsabili in fatto di cibo. Ci ammaliamo sempre di più, e compriamo sempre più farmaci. In Italia il consumo di farmaci è cresciuto dal 1999 al 2007 del 13%, in Francia è sceso del 16%. Ogni mese spendiamo un miliardo di euro per farmaci. Noi medici dovremmo dialogare di più, prescrivere esami quando vi è un effettivo bisogno e ridurre il consumo di farmaci. La medicina dovrebbe  essere sobria con meno eccessi rispettosa del cittadino con più ascolto è uguale per tutti con risorse diagnosi e cure uguali per tutti in tutta Italia

Gli unici alimenti che accumunano le popolazioni del bacino del mediterraneo sono l’olio d’oliva e il grano, altro è contaminazione o derivante dall’emigrazione ( pomodori, patate…). La dieta mediterranea, quella praticata, non quella teorizzata è legata a abitudini alimentari diverse e contraddittorie, alcune figlie della fame altre dell’abbondanza.

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La produzione del cibo è passata da un trattamento naturale ad uno tecnico-industriale in terreni agricoli sempre più martoriati, cementificati, inondati da chimica e sempre più a contatto con rifiuti tossici. Il cibo sta perdendo il suo valore simbolico di socializzazione, di festa, di incontro di amicizia per ridursi ad elemento di nutrizione non salutare o di avanspettacolo televisivo. Ippocrate scriveva ”un medico deve sapere che cos’è un uomo in rapporto a ciò che mangia e a ciò che beve”, e ancora “il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”. Il rapporto tra stili di vita alimentari e salute ha basi solide. La tutela della salute per noi medici dovrebbe essere un fine e non può diventare una vetrina, un mezzo per apparire per esporre le nostre medaglie da primi della classe. Lavorare insieme ai cittadini per una battaglia collettiva in difesa del diritto alla salute, essere accanto all’altro a chi soffre e non sopra l’altro, o addirittura altrove.

Oggi non è l’uomo a fare la dieta è la dieta è fare l’uomo  Non siamo noi a mangiare il cibo ma il cibo a mangiare noi. Per i greci la dieta, diaìta, significava stili di vita per noi vittime della religione del corpo il Dio di questa nuova religione è l’immagine del corpo-maschio disciplinato nel suo appetito, obbligato a diete perpetue ridotto ad una compattezza di un fascio di muscoli di nervi ed ossa L’attenzione salutista del proprio corpo bilancia il culto dell’abbondanza alimentare; la dieta è girovita, riduzione di calorie, peso e misure, con il rischio di disordini alimentari: eccessivo uso di proteine, depressioni, frustrazioni. Abbiamo i consumatori di cibo chic che seguono i dettami dei tanti masterchef di turno che dilagano in televisione. Loro devono stupirti con la rivisitazione del piatto con la fusion modaiola con la cucina d’avanspettacolo il piatto  è presentazione. Bollano come maiali sfigati i Nandi di turno sorpresi a fare la scarpetta nella teglia unta dove la Sora Lella ha preparato l’amatriciana. Poi vi sono quelli che ingurgitano tutto, mangiano così tanto fino al punto che non possono più mangiare nulla. Il loro rapporto con il cibo soprattutto nei momenti festivi è una mescolanza di processioni con indigestioni, di balli con sballi alimentari. L’attenzione al mangiar bene e al mangiar meno non deve essere liquidata come la mania di chi vuole perdere qualche chilo prima dell’estate. Stiamo parlando di salute e di una scelta vitale per la salute e per la sopravvivenza di intere fasce di popolazione.

La globalizzazione ha sostituito però la cucina tradizionale povera con una omologazione del gusto facendoci perdere sapori, memoria, tradizioni e sostenibilità. Il cibo sta perdendo il suo valore simbolico di socializzazione, di festa, di incontro di amicizia per ridursi ad elemento di nutrizione non salutare o di avanspettacolo televisivo. Ma il cibo dovrebbe essere buono, sostenibile per l’ambiente, del territorio e a km zero.

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L’industria agroalimentare è una fabbrica di cibo che con una catena di montaggio controlla tutto dal seme al supermercato. Il cibo, vettore di molti diritti, tra cui il diritto alla salute, è diventato soltanto merce.  La produzione di cibo è passata da un cibo agricolo sano e naturale ad uno tecnico-industriale con l’immissione della chimica nel comparto alimentare. Per il mercato della sanità è meglio curare che prevenire. Il mercato continua a produrre cibo in eccesso produciamo cibo per 12 miliardi di persone ma i viventi sono 7 miliardi Il mercato della salute propone rimedi per l’obesità, il diabete, i disturbi cardiocircolatori in cui hanno un peso determinante  i danni da cibo altamente industrializzato  e quelli di uno stile di vita sempre più sedentario.  In Italia vi sono sette supercentrali d’acquisto che aggregano 21 catene della grande distribuzione l’80% del mercato appiattendo la contrattazione a danno di produttori e consumatori.

“Un consumo massiccio di carne rossa può aumentare del 43% il rischio di contrarre alcuni tipi di tumore(Fonte:World Cancer Research Fund,2011)” L’educazione del cittadino ad una alimentazione buona, pulita  e giusta è anche educazione al rispetto dell’ambiente ,delle risorse della terra e della vita intera. Una bistecca richiede il consumo di 2600 litri di acqua. Il 30% della superficie agricola del pianeta oggi è occupato da coltivazioni destinate alla produzione zootecnica ottenuta mediante la deforestazione di terreni per fare spazio a cereali e leguminose tra cui mais, soia oppure pascoli. La produzione di carne incide nell’18% dell’effetto serra per l’emissione carbonica, per il trasporto degli animali e per la distribuzione della carne. Gli animali sono trattati come macchine per la produzione di cibo vivono pochi anni o nel caso dei polli solo poche settimane. E una volta macellati sono smaltiti come scarti industriali. Ma gli allevamenti possono anche essere estensivi in cui gli animali si nutrono di erba, fieno, cereali prodotti localmente nel pieno rispetto dell’ambiente, con allevatori che li trattano con rispetto. L’educazione alimentare e con essa la conoscenza è alla base della prevenzione  delle malattie croniche. Un investimento e non uno spreco La difesa della salute della madre terra è difesa della nostra salute. Il consumo responsabile significa cominciare a leggere l’etichetta e interessarsi della provenienza del cibo. Gli studi epidemiologici negli ultimi anni hanno dimostrato che più ci avviciniamo allo stile dell’alimentazione mediterranea tradizionale, dove troviamo cereali integrali, legumi, verdura, frutta, noci, nocciole, mandorle, olio d’oliva, e meno ci ammaliamo di infarto, ictus, cancro, Alzheimer, malattie infiammatorie. Gli studi sono molto chiari a riguardo: lo stile mediterraneo è protettivo nei confronti delle malattie croniche del nostro tempo».

Obesità, diabete, malattie cardiovascolari, tumori, morbo di Alzheimer. Oggi il cibo sulle nostre tavole può voler dire salute, oppure no.  La dieta mediterranea  è una filosofia, un modo di essere, è uno stile di vita, è equilibrio ambientale, cibo sano, variato e senza eccessi. Non si tratta di nutrizionismo, ma di ripercorrere la saggezza di un territorio. Una saggezza che si può applicare ovunque, riproporre, adattare a qualsiasi paniere di ingredienti locali, ingredienti di cui dovremmo conoscere la provenienza. E’ il cibo a filiera corta, è il cibo del territorio è il cibo identitario è il cibo dei piccoli produttori. Ma esiste ancora ?

La risoluzione dell’UNESCO, che ha riconosciuto il valore immateriale della dieta mediterranea, ha contribuito a spostare l’attenzione dai singoli alimenti ai comportamenti che vanno analizzati senza incorrere nella retorica della riscoperta, della classicità o della naturalità. Ma anche nel cibo, il Sud ha dimostrato una sudditanza passivamente accettata anche al cibo globale senza alcuna voglia di riscatto, una popolazione che non ha creduto in sé stessa. In Italia purtroppo si è assistito a un deciso allontanamento dalla tradizionale Dieta Mediterranea Italiana di riferimento, con aumento delle patologie cronico degenerative non trasmissibili legate allo stile di vita sedentario, ma soprattutto alle abitudini alimentari sbagliate, con consumi elevati di cibo di bassa qualità che oscilla tra grassi saturi e cereali raffinati.

La dieta mediterranea non è privazione, è misura, è regola, socialità, convivialità privilegiando i prodotti della terra; il trittico: frumento, olio, verdure e legumi. Frutta con guscio nocciole, pistacchi, mandorle, noci (elementi ricchi di omega 3) ;cereali, legumi, olio d’oliva, pane, pasta pesce due volte a settimana carne una volta a settimana e anche meno se proveniente da allevamenti intensivi. Cibo che viene dalla terra, da quello che noi abbiamo ulivo, olio; vite; frumento, pane e pasta; mare, pesce azzurro. I grassi acidi insaturi svolgono un’ importante azione di riequilibrio ed antiinfammatoria. I carboidrati non raffinati e quindi integrali sono ricchi di polifenoli possedendo azione antiossidante. Buona parte delle verdure oltre alle vitamine e ai sali minerali contengono sostanze come l’ossido nitrico che è fondamentale nella regolazione della pressione. Le fibre vegetali presenti nella crusca accelerano la motilità intestinale, liberando l’organismo dalle sostanze tossiche. L’ olio extra vergine d’oliva, ricco di polifenoli, aiuta a proteggere le membrane cellulari dai danni ossidativi provocati dai pericolosissimi radicali liberi.

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L’etichetta che peraltro non leggiamo aiuta poco. È il caso dei prodotti etichettati come integrali e che costano più degli altri: pane, pasta, fette biscottate, crackers, prodotti da forno, biscotti e dolci. La maggior parte di essi è prodotta con farina raffinata industrialmente (la cosiddetta 00) a cui viene aggiunta una crusca devitalizzata e finemente rimacinata, ossia un residuo della lavorazione di raffinazione. Ad esempio il “non pane integrale” che si trova in ogni supermercato, contrariamente al pane integrale ha un colore chiaro da farina raffinata inframmezzato da punti scuri (la crusca macinata riaggiunta).

La cittadinanza e il cibo sono stati privati di una storia millenaria ormai siamo alla negazione di quel legame stretto tra gusto, sapori, bontà e diritto al cibo sano naturale che sono alla base della tradizione popolare e della salute. Il cibo è un diritto e ha un valore, non esiste soltanto l’economia esiste anche la tutela della salute esiste anche l’etica pubblica esiste la tutela del territorio, la bellezza del paesaggio, e quindi dovrebbe esistere anche il consumo responsabile. Un conto è assaggiare ogni tanto i prodotti animali e caseari della tradizione un conto è farne un uso quotidiano, dimenticando che quei prodotti si mangiavano nelle festività. eccessi. Ecco: non si tratta di nutrizionismo, ma di ripercorrere la saggezza e la cultura di un territorio. Una saggezza che si può applicare ovunque, riproporre, adattare a qualsiasi paniere di ingredienti locali.  La provenienza, l’appartenenza, l’identità delle persone sono riconoscibili da quello che mangiano e da come trattiamo il cibo. Sulla validità scientifica, ecologica e medica di questo modello alimentare non vi sono dubbi il vero problema che in molti casi il cibo che dovremmo consumare è industriale e non tiene conto di provenienza e origine del cibo.

Il Codice Europeo contro il Cancro, si basa su tre suggerimenti:

mangia cereali integrali, legumi, verdura e frutta(la frutta zuccherina va invece ridotta se il tumore è già conclamato, in quanto gli zuccheri alimentano la cellula tumorale)

limita i cibi ad alto contenuto calorico(cibi con alto contenuto di zuccheri e grassi) ed evita le bevande zuccherate.

evita la carne conservata; limita la carne rossa e i cibi ad alto contenuto di sale.

E’ bene evitare i cibi raffinati e i grassi, oltre ad alcuni metodi di cottura, come la brace e la frittura.

” Si stima che il 42% di tutti i casi di cancro e quasi la metà di tutti i decessi per cancro negli Stati Uniti nel 2014 siano attribuibili a fattori di rischio valutati, molti dei quali potrebbero essere stati mitigati da efficaci strategie preventive “Se questa fosse una pillola, l’articolo verrebbe intonacato sulla prima pagina di ogni giornale e tutti noi saremo incaricati di prenderlo indipendentemente da quanto costi. Ma non è una pillola. È uno stile di vita sano, libero e dal quale nessuno può fare profitti. Quindi, possiamo dimenticarcene e proviamo a salvare noi e chi ci sta a cuore con il cibo da agricoltura sana.

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