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Teheran

Situata tra il deserto e l’imponente catena montuosa di Alborz, Teheran è la città più grande – con otto milioni di abitanti – e la capitale dell’Iran, precedentemente nota come Persia.

ncastonata tra il deserto e la catena montuosa di Elburz, nella parte nord del paese, con i suoi 8 milioni di abitanti, Teheran è la maggiore città e la capitale dell’Iran, l’antica Persia nella storia.

Il traffico caotico che la caratterizza, e che in un primo momento confonde il visitatore, è controbilanciato dalla calda ospitalità dei suoi abitanti, dai paesaggi ricchi di suggestioni e dai molteplici intrecci di elementi orientali e occidentali che si ritrovano sia nella parte nord della città, più ricca e moderna, sia in quella sud, più affollata e caotica.

Complessa e sfaccettata come i mosaici colorati delle sue moschee, oggi Teheran è anche il polo culturale del paese. Lo confermano non solo i suoi numerosi musei di rilevanza mondiale e la presenza della maggiore università del paese, ma anche le personalità di rilievo internazionale che qui si sono formate, come i registi Jafar Panahi (vincitore, tra l’altro, del Leone d’oro a Venezia nel 2000 con il film Il Cerchio, dell’Orso d’oro a Berlino nel 2015 con Taxi e del premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes nel 2018 con Three faces) e Asghar Farhadi (premiato con l’Oscar al miglior film straniero nel 2012 con Una separazione).

Infine, è importante sapere che anche le donne straniere sono tenute per legge a rispettare il codice di abbigliamento che vige in Iran; devono perciò indossare abiti larghi e lunghi per nascondere le braccia e il corpo fino a metà gamba e un velo per coprire i capelli.

Tracce del passato

Anche se in larga parte distrutte per far posto a nuovi edifici, a Teheran è ancora possibile trovare alcune preziose tracce delle antiche vestigia della città.

Il monumento più antico è il Palazzo Golestan (Palazzo dei Fiori), nella cittadella (Arg), edificato nel XVI secolo come residenza della dinastia reale Qajar e splendida testimonianza dello stile architettonico persiano tradizionale, riconoscibile anche nelle magnifiche decorazioni esterne.

Da non perdere al suo interno la Sala del Trono, in marmo, la Sala degli Specchi, il bel giardino e il Museo Etnologico (o Palazzo Bianco) dove, con abiti e oggetti di uso comune, viene rappresentata la vita quotidiana dei persiani.

Appena a sud del Palazzo Golestan, si trova la Moschea dell’Imam Khomeini del 1808, altro prezioso esempio di architettura iraniana tradizionale.

Altrettanto affascinante, anche se di epoca successiva, infine, è la Moschea Motahari (nota anche come Moschea di Sepahsala), che spicca per i suoi 8 minareti interamente ricoperti di piastrelle colorate.

 

I simboli di Teheran

I monumenti più rappresentativi di Teheran hanno generalmente una storia piuttosto recente. Uno dei principali simboli della città è Azadi Tower (Torre dell’Indipendenza) del 1971. Situata all’ingresso della capitale iraniana, in piazza Azadi, si tratta di una torre imponente in marmo bianco e pietra, un bel mix di architettura islamica, persiana e contemporanea.

La Milad Tower, inaugurata nel 2008, che si ispira ai canoni dell’architettura islamica tradizionale, evidenti sia nella sua base ottagonale sia nelle sue geometrie, invece, è l’edificio più alto dell’Iran. In meno di un minuto, i suoi sette ascensori dalle pareti in vetro portano il visitatore alla terrazza panoramica o al ristorante girevole che permette di ammirare la città dall’alto.

 

Conoscere Teheran attraverso i suoi musei

Negli ultimi anni Teheran si è trasformata sempre più in una città turistica che cerca di far conosce i tesori che custodisce attraverso i suoi musei. Per questo è senz’altro consigliabile dedicare un po’ di tempo alla visita dei più significativi, come il Museo Nazionale dell’Iran (che include sia il Museo dell’Iran Antico sia il Museo dell’Era Post-Islamica), che è il più grande museo storico e archeologico del Paese e vanta una ricca collezione di reperti (statue, manufatti, bassorilievi, utensili ecc.) che risalgono all’antico Impero Persiano.

Gli appassionati di storia e arte non potranno mancare di visitare anche il Museo del Vetro e della Ceramica, situato nell’antica via 30 Tir, che espone reperti di vario genere (boccette di profumo, coppe e vasi in vetro, gioielli, sigilli) che vanno dal II millennio a.C. al XX secolo.

È molto interessante anche l’architettura di questo edificio, una combinazione particolare di tradizionale iraniana e architettura occidentale.

Da non perdere, infine, il Museo di Arte Contemporanea, che con più di 3000 opere d’arte è tra i più grandi del Paese (Van Gogh, Picasso, Toulouse-Lautrec, Andy Warhol e Pollock); il Museo dei Tappeti, che testimonia la storia dell’artigianato locale con esemplari che vanno dal XVIII fino ai giorni nostri; il Museo Nazionale dei Gioielli, con collezioni di grande pregio (corone, tiare, spade e scudi ingioiellati, diamanti e pietre preziose ecc.); tra i pezzi più famosi del museo, il diamante rosa Daria-e Nur di 182 carati, considerato il diamante grezzo più grande al mondo.

 

La cucina

I piatti principali della cucina iraniana sono per lo più a base di verdure, frutta secca e fresca, legumi, riso e carne (manzo, agnello, pollo), accompagnati da salse, spesso a base di yogurt, e insaporiti da un abbondante uso di spezie.

Oltre al classico kebab, le specialità più note sono gli stufati di carne o verdure (conditi con frutta secca o fresca, spezie ed erbe aromatiche), le zuppe di legumi, verdure o erbe aromatiche, gli spiedini di carne e il riso condito con vari ingredienti (fagioli, noci, frutta secca), o più semplicemente con burro e zafferano.

Essendo il consumo di bevande alcoliche severamente vietato in Iran, oltre a bibite di vario tipo e a birre analcoliche, la bevanda più diffusa a Teheran è senz’altro il tè (chay), forte, scuro e servito ben caldo.

 

L’orgoglio del Gran Bazar

Situato nel cuore della metropoli, il Gran Bazar di Teheran è una vera e propria città nella città, dove si intrecciano strade caratterizzate ognuna dalla tipologia dei prodotti che vengono venduti. Un mondo di botteghe e negozietti dove è possibile trovare veramente di tutto (spezie, vasellame, gioielli, tappeti, orologi, profumi tessuti, scarpe ecc.).

 

Attività all’aria aperta

Un percorso molto popolare è quello che parte dal quartiere di Darband e conduce alla catena montuosa di Alborz e al Monte Tochal che domina la città, la cui vetta si può raggiungere con circa 3 ore di cammino o usufruendo dell’apposita seggiovia.

Lungo i sentieri che portano al Monte Tochai si trovano diversi rifugi relativamente ben attrezzati, dove si può pernottare e rifocillarsi.

Durante la stagione invernale, invece, le montagne persiane offrono l’occasione per fare splendide sciate sulla neve. Le quattro principali stazioni sciistiche della regione (Dizin, Shemshak, Darbandsar e Tochal) si trovano tutte a meno di 2 ore da Teheran e sono tutte ben organizzate, con anche la possibilità di noleggiare le attrezzature.

Un ponte da vivere

Nella parte nord di Teheran si trova il Tabiat Bridge (Ponte della Natura), un enorme ponte pedonale a forma di albero, che con vari sentieri collega due diversi parchi cittadini divisi dalla superstrada Modarres.

Inaugurato nel 2014, oggi questo ponte è uno dei luoghi più frequentati della capitale. Si tratta infatti di un luogo che invita al passeggio, dove è bello ritrovarsi e condividere il tempo libero. Ognuno dei tre livelli del Tabiat Bridge è attrezzato con panchine, bar, ristoranti e caffè. Dal livello più alto poi si può godere di una splendida vista della città che, quando il cielo è limpido, spazia fino ai monti Elburz.

Per entrare in Iran è necessario sia un passaporto con validità residua di almeno sei mesi sia un visto d’ingresso. Il visto deve essere richiesto prima della partenza presso gli uffici del Consolato o dell’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran presenti nel proprio paese e non viene concesso a chi è in possesso di un passaporto su cui è riportato il visto o il timbro di ingresso in Israele.

In alternativa, all’arrivo in aeroporto di Teheran i cittadini UE, mostrando il biglietto aereo di andata e ritorno, la prenotazione alberghiera e l’assicurazione sanitaria, possono richiedere (senza alcuna garanzia che venga concesso) un visto d’ingresso turistico della durata di 30 giorni.

Il clima di Teheran è in gran parte determinato dalla sua posizione geografica della città ed è caratterizzato da un’estrema variabilità anche nell’arco di una stessa giornata. La catena montuosa dell’Elburz però protegge la città dal freddo più intenso.

Si può dire quindi che a Teheran le primavere sono miti, le estati calde e secche (con temperature che in luglio e agosto possono raggiungere i 35 °C), gli autunni temperati e gli inverni solo relativamente freddi (a gennaio le temperature possono scendere sotto lo zero).

Tutto sommato, dunque, il periodo migliore per visitare la città va dalla metà di aprile all’inizio di giugno e dalla fine di settembre ai primi di novembre.

 

Tips

Le festività islamiche seguono il calendario lunare e quindi cadono ogni anno in giorni diversi. Quelle invece legate alla tradizione pre-islamica, come il Nowruz (il Capodanno persiano che si celebra il 21 marzo), seguono il calendario solare.

Tra le festività tradizionali più popolari, si segnala il Festival Yalda (dicembre), in cui si celebra la notte più lunga dell’anno, la Festa del Fuoco (ChaharShanbeh Suri), l’ultimo mercoledì prima di Capodanno, durante il quale si accendono falò per tutta la città e, in aprile, la Giornata nazionale della Natura (Sizdah bedar) che segna la fine delle celebrazioni di Nowruz.

Teheran, però, ospita anche diverse manifestazioni artistiche dal richiamo internazionale. A gennaio, si celebrano il Festival Internazionale delle Arti Visive e il Festival Internazionale del Teatro (teatro di strada, radioteatro, teatroterapia, workshop, mostre ecc.), mentre in aprile, il Festival Internazionale di Musica Contemporanea e il Festival Internazionale del Cinema, che porta sul grande schermo centinaia di film provenienti da oltre 40 paesi, oltre a workshop, mostre e dibattiti.

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KASHK O BADEMJAN

E’un piatto tipico a base di melanzana sono kashke bademjan, dip di melanzane simile al babaganoush caratterizzato dal latticino fermentato kashk

 

La ricetta

3 melanzane oblunghe

1 cipolla

½ cucchiaio di menta tritata

½ cucchiaio di curcuma in polvere

½ cucchiaino di sale

2 spicchi d’aglio

60 gr di gherigli di noci

250 gr di yogurt intero, compatto

Olio di semi

 

Sbucciate le melanzane, tagliatele a fette spesse un centimetro e friggetele in olio di semi finchè saranno dorate. Prelevatele e fatele scolare. Nello stesso olio friggete la cipolla e l’aglio tritato, aggiungete la menta, la curcuma e aggiustate di sale. Mescolate bene e unite le melanzane al soffritto, bagnate con un bicchiere d’acqua e proseguite la cottura per 10-15 minuti prima di aggiungere le noci. Mescolate bene e frullate il composto con un mixer. Trasferite in una ciotola e amalgamate con lo yogurt.

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PREPARIAMO IL FALOODEH, IL MEGLIO DALL’ANTICA PERSIA!

Per la gente in Iran, il Faloodeh occupa un posto speciale – è probabilmente il loro dessert preferito. Creato ai tempi dell’antica Persia, il Faloodeh è composto da spaghetti di riso mescolati con acqua di rose e lime. Se mai visiterete l’Iran, scoprirete che la maggior parte delle gelaterie hanno due dolci tradizionali nel loro menu – uno è il gelato allo zafferano e l’altro sarà proprio il Faloodeh.

«Faloodeh è stato il primo dessert surgelato mai prodotto – risalente al 400 a.C. circa – e che è stato inventato in gran parte per caso, quando gli sciroppi aromatizzanti sono stati versati sulla neve e la gente si è resa conto che potevano essere trasformati in una prelibatezza… Faloodeh è originario della città di Shiraz ed è spesso chiamato Shirazi Faloodeh», secondo Bastani Teheran.

 

La ricetta

Per prepararlo, avrete bisogno di

1 tazza di zucchero granulato

½ tazza di succo di lime

½ tazza di acqua in una padella

4 etti di sottili vermicelli di riso o spaghetti di riso

2 cucchiai di acqua di rose sale marino

Alcuni spicchi di lime per servire

Per prima cosa, versate ½ tazza di acqua in una padella e riscaldatela a bassa temperatura. Aggiungete la metà della quantità di zucchero e lasciate che si sciolga completamente nell’acqua. Aggiungete ora 1/8 di cucchiaino di sale e lo zucchero rimasto. Continuate a mescolare il composto. Quando tutto si sarà ben amalgamato, togliete la padella dal fuoco e lasciate raffreddare il composto.

Poi, mescolate insieme il composto raffreddato, 4 tazze di acqua, acqua di rose e succo di lime in una ciotola. Mettete la ciotola nel congelatore e attendete che si formino i cristalli ai bordi del composto. Questo dovrebbe richiedere circa 1 ora. Nel frattempo, fate bollire 4 litri d’acqua in una pentola e aggiungete i vermicelli/noodles di riso. Una volta cotti bene, togliete i vermicelli, scolarli e sciacquarli con acqua fredda. Con un coltello, tagliate i vermicelli in piccoli pezzi da 3 cm.

Mescolate i vermicelli tagliati nella miscela di sciroppo congelato. Assicurarsi che lo sciroppo abbia iniziato a congelare prima di aggiungere i vermicelli, altrimenti questi affonderanno sul fondo. Nelle ore successive, raschiate via la granita per evitare che si formino pezzi di ghiaccio. La miscela deve avere una consistenza ariosa e leggera, mentre i vermicelli devono essere croccanti. Quando si pensa che l’impasto sia pronto, si può servire il Faloodeh con qualche spicchio di lime. Si possono aggiungere anche delle ciliegie, dei semi di melograno e dei rametti di menta fresca.

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Nella boutique di Bijan

Passeggiare lungo Rodeo Drive a Beverly Hills è un’esperienza a serio rischio di overdose di lusso, dove i marchi di abbigliamento e di gioielleria più prestgiosi del mondo si contendono l’attenzione e le carte di credito dei passanti proponendo le vetrine più sfarzose che la mente umana possa immaginare. Arrivati a un certo punto, però, ci si imbatte in una sorta di creatura mitologica contemporanea, una Rolls-Royce Phantom Drophead Coupé completamente gialla che riesce nell’impresa di catalizzare su di sé ogni sguardo e ogni camera di smartphone: è l’auto che ci segnala di essere giunti in prossimità della leggendaria House of Bijan.

La storia di questo marchio nasce negli Anni ‘70, quando lo stilista iraniano Bijan Pakzad si trasferisce in California e approda a Beverly Hills, dove fonda il suo atelier specializzato in abiti sartoriali maschili. Rodeo Drive, a quel tempo, è ancora una via del tutto anonima, dove è possibile trovare pompe di benzina di qualunque tipo: ma la qualità dei materiali utilizzati e il taglio rigoroso dei modelli trasforma a poco a poco Bijan in sinonimo di eleganza assoluta, e mentre il lusso si impadronisce della zona la fama del marchio inizia a circolare ai piani alti della politica a stelle e strisce.

Bijan Pakzad, generalmente noto semplicemente come Bijan (4 aprile 1940 – 16 aprile 2011), è stato un designer iraniano di abbigliamento e fragranze maschili. Lui è nato a Teheran, in Iran, nel 1940, figlio di un ricco uomo d’affari. Ha frequentato l’Institut Le Rosey e ha studiato design in Svizzera e in Italia. La carriera di Bijan è iniziata in Iran con la Pink Panther Boutique a Teheran.

Dopo essere emigrato negli Stati Uniti nel 1973, Bijan si stabilì a Los Angeles e nel 1976 fondò la sua boutique esclusiva su Rodeo Drive a Beverly Hills. Inizialmente aveva acquistato un parcheggio che trasformò in un negozio di costruzioni ed era sicuro che la sua attività a Los Angeles sarebbe decollato perché “ho visto uomini brillanti guadagnare $ 100.000 all’anno vestiti con i vestiti più ridicoli.

Nel 1984 ha aperto un secondo negozio sulla Fifth Avenue e 55th Street a New York (chiuso nel 2000). Nel 1985, ha rivendicato 15.000 clienti, tra cui quattro re e sedici presidenti degli Stati Uniti. Nei suoi primi dieci anni di attività, ha sostenuto un fatturato di $ 150 milioni. Possedeva una fabbrica tessile in Italia dove produceva i suoi vestiti su misura[7][8] Nel 1989, il negozio Bijan di New York è stato colpito dalla ristrutturazione di 2 anni e 50 milioni di dollari dell’adiacente St. Regis Hotel, e lanciato controversie contro l’allora proprietario Sheraton. Bijan ha lanciato la fragranza Michael Jordan nel 1996. Secondo la sezione del calendario del Los Angeles Times del 2001, Bijan Perfume and Fashion Business ha generato vendite stimate per 3,2 miliardi di dollari in tutto il mondo. Nel novembre 1997, due dirigenti di Bijan furono derubati di gioielli per un valore di 3 milioni di dollari a Londra in una rapina molto elaborata.

Bijan è specializzato in design esclusivi di alta moda. Non ha mai tenuto una sfilata di moda per esporre le sue creazioni. Il suo negozio del New York Times era una curiosità in città perché era solo su appuntamento, per allontanare le “persone antipatiche”.Una volta ha detto “Non voglio sembrare snob, ma ho il potere, ho connessioni con tutte quelle persone, ho case in tutto il mondo, tutto quello che vuoi per un uomo di 45 anni. Io stesso sono un multimilionario .” Uno dei suoi slogan pubblicitari era “L’abbigliamento maschile più costoso del mondo”. Le fragranze di Bijan sia per uomo che per donna sono note per il loro caratteristico flacone di vetro circolare con un centro aperto e una rete divisoria. Quando è mezzo pieno, la fragranza riempie due camere separate, sfidando apparentemente la legge di gravità secondo cui il liquido cerca il proprio livello. Una di queste bottiglie di profumo è presente nella mostra permanente della Smithsonian Institution.

Lui affermava di coltivare rapporti molto speciali con i suoi clienti, una qualità fondamentale per saperli vestire al meglio. Ogni acquisto è arrivato con un taccuino che spiega come indossarlo al meglio. Il 14 aprile 2011, Bijan ha avuto un ictus ed è stato ricoverato al Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles. Ha subito un intervento chirurgico al cervello, ma non si è mai ripreso ed è morto due giorni dopo, il 16 aprile 2011 alle 8:05. I registri pubblici indicano che aveva 71 anni. La boutique di Bijan su Rodeo Drive è stata venduta a LVMH per 122 milioni di dollari nell’agosto 2016. La boutique si è trasferita dall’altra parte della strada nel 2020.

Bijan è più associato al Bijan Bugatti Veyron 16.4, un Veyron su misura. Creato come una collaborazione tra Bijan e Bugatti, il Bijan Bugatti Veyron presenta in modo prominente il caratteristico giallo di Bijan. Il veicolo generalmente considerato come un punto di riferimento di Beverly Hills.

Dalla morte di Bijan, la Bugatti, insieme a vari altri veicoli personalizzati di proprietà di Bijan, come la sua Rolls-Royce Phantom Drophead Coupé, è stata parcheggiata fuori dalla boutique Bijan su Rodeo Drive a Beverly Hills, presumibilmente l’ultimo posto in cui l’ha lasciata prima della sua morte.

 

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Beauty routine in vacanza: cosa portare e cosa lasciare a casa

l grande dilemma che affligge ogni ragazza in procinto di fare la valigia è come preservare la solita beauty routine senza portare con sé troppe cose. Niente panico, ecco come fare.

Quando si parte per le vacanze uno dei pensieri più angosciosi è quello che accompagna la preparazione della valigia, in grado di rendere isterica anche la ragazza più zen al grido di: «Cosa porto»? Un quesito che coinvolge gli abiti ma ancor di più i prodotti della beauty routine, perché oltre a capire cosa possa servirci davvero in vacanza, dobbiamo fare i conti con cosa si possa portare o meno, soprattutto nel caso si parta in aereo.

Senza contare il pensiero di dover sigillare ogni boccetto ermeticamente, onde evitare di trovarsi creme, fondotinta o profumi sparsi ovunque in valigia una volta arrivati a destinazione.

Insomma, un vero e proprio incubo dal quale uscirne è possibile in un unico modo: limitare all’essenziale il bagaglio.

Sappiamo che ti sembra una mission impossibile ma niente paura, ce la puoi fare. Pensa al tipo di vacanza che stai per compiere e concentrati su ciò che ti serve sul serio e ciò che, invece, puoi lasciare a casa.

Skincare

La prima cosa da chiarire è che anche se sei in vacanza e vorresti non pensare a nulla, la cura del viso non può essere messa in stand by. Tuttavia, puoi evitare di portare con te tutto quello che possiedi, e ridurre notevolmente il bagaglio.

Cosa portare

Indispensabile anche nella beauty routine in vacanza, un prodotto per la detersione. Se hai la pelle non uniforme e che cambia spesso, e quindi possiedi diversi prodotti che alterni a seconda dei bisogni, non portare tutto ma fai una scelta ponderata. A meno di problematiche specifiche, il prodotto per lavare il viso più idoneo per l’estate è quello in gel, perché si adatta a quasi tutti i tipi di pelle.

Per struccarti scegli un olio, che oltre a rimuovere il trucco nutra e reidrati la pelle, soprattutto dopo una giornata sotto il sole. Porta con te anche un siero riequilibrante. Ideale per l’estate quello alla vitamina C. Non dimenticare la protezione solare

Da non dimenticare fuori dalla valigia è sicuramente una crema protettiva alta, 50 o 50 + se hai la pelle chiara, almeno 30 se media o scura, mai inferiore. Cosa lasciare a casa

Per preservare al meglio il viso in vacanza non ti serve altro, quindi se stai pensando di portare con te vari tipi di creme idratanti fermati, non ne hai bisogno. Il viso in estate produce molto più sebo e il siero può essere più che sufficiente per nutrirlo.

Inoltre, hai sempre con te la protezione solare che altro non è se non una crema nutriente. Se senti il bisogno di una coccola extra quindi, usa quella.

Make up

Il reparto trucco è indubbiamente quello che più di tutti in vacanza può essere ridimensionato, soprattutto se vai al mare. In spiaggia, infatti, puoi tranquillamente non truccarti, e la sera basta veramente poco per essere cool.

Cosa portare

Un prodotto make up che ti consigliamo di non lasciare a casa è il mascara perché da solo è in grado di accendere lo sguardo e darti un’immagine curata e magnetica veramente in un attimo.

Ricordati di sceglierne uno waterproof, altrimenti il caldo, o l’acqua del mare nel caso decidessi di portarlo anche in spiaggia, potrebbero scioglierlo.

Atri trucchi che puoi portare sono le polveri. Un bronzer nel caso volessi uniformare l’incarnato dopo l’abbronzatura, e un illuminante per accenderlo un po’.

Lip Balm al primo posto

Per le labbra, scegli un lip balm piuttosto che un rossetto, in modo da nutrire una parte del viso particolarmente delicata e soggetta alle aggressioni.

Scegli una versione nude se vuoi mantenere un look naturale, colorata se alla protezione vuoi aggiungere un pizzico di glam. Ricordati però di controllare che anche il lip balm contenga la protezione solare.

Cosa lasciare a casa

Tutti gli altri prodotti che normalmente fanno parte della tua beauty routine make up possono essere lasciati serenamente a casa. Nello specifico, saluta fino a settembre il fondotinta, soprattutto se quello che usi di solito è particolarmente coprente. Cura dei capelli

I capelli in vacanza soffrono un po’ lo stress del cambiamento, e se vai al mare anche quello delle aggressioni di sole e salsedine. Non si può quindi abbandonarli al loro destino, altrimenti a settembre l’unico modo per rianimarli potrebbe essere quello di fare un taglio drastico.

Cosa portare

In vacanza, i capelli si lavano molto di più rispetto agli altri periodi dell’anno, quindi attenzione a quali prodotti usi. Meglio uno shampoo naturale privo di siliconi, e un balsamo che abbia le stesse caratteristiche.

Se i tuoi capelli non presentano problematiche particolari da gestire, puoi unire i prodotti e scegliere uno shampoo 2 in 1.

Proteggili dal sole

Se vai in spiaggia, nella tua beauty routine non dimenticare uno spray solare che protegga i capelli dai raggi UVA e UVB.

Cosa lasciare a casa

In vacanza dimenticati di phon e piastre di ogni tipo, ma lascia i capelli liberi di esprimersi come meglio credono e di asciugarsi al vento. Così facendo, in autunno li ritroverai splendenti.

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Prodotti di bellezza, impennata record nell’e-commerce (e in farmacia)

«Le prospettive sui mercati cosmetici del 2021 risentono inevitabilmente della coda della pandemia che si sperava vada terminando i suoi effetti nei primi mesi del nuovo anno. Se consideriamo quanto accaduto nel 2020, a cavallo dei due episodi di picco del Coronavirus, con le relative attività di contenimento, non possiamo trascurare l’importanza della reattività del settore cosmetico e parallelamente dei consumi nazionali che hanno ripreso in maniera quasi inaspettata pur confermando saldi finali negativi, sicuramente meno critici di quanto si potesse prevedere». Così Renato Ancorotti, presidente di Cosmetica Italia, l’associazione di categoria, commenta l’impatto che l’emergenza sanitaria sta avendo sul settore della bellezza made in Italy che si appresta ad affrontare un nuovo anno pieno di incertezze. Incertezza sui mercati internazionali

«Anche la domanda estera è rallentata dall’incertezza sui mercati internazionali – continua Ancorotti -. Per il prossimo anno, se non si verificheranno ulteriori condizionamenti sia sulla mobilità dei consumatori sia sulla opportunità o meno di apertura dei negozi fisici, dovremmo registrare un rilancio, sicuramente lontano dai livelli della fine del 2019, ma in netta ripresa soprattutto perché il mercato cosmetico conferma l’insostituibilità dell’uso dei cosmetici, oltre alle nuove modalità di acquisto che inevitabilmente la pandemia ha accelerato. La proiezione ottimistica è generata quindi dal confronto con i periodi di ripresa avvenuti già nel 2020 e si auspica che si consolidano nel corso del 2021».

L’impennata dello shopping online

Unico vincitore di questo squilibrio è l’e-commerce, il solo canale che registra un andamento positivo con un’impennata record del +35%. Il 2020 segnerà anche il sorpasso della profumeria da parte della farmacia che si posiziona al secondo posto per le vendite, con un calo di due punti percentuali, dopo il mass market che, seppur con una lieve contrazione del -1,7%, continua a coprire oltre il 40% del mercato cosmetico. I due canali sono stati sicuramente avvantaggiati dal fatto di non aver mai dovuto chiudere durante l’emergenza in quanto negozi di beni di prima necessità. Perde posizioni la profumeria che arriva terza con un -24%.

 

Le aziende non si arrendono

«Il 2020 è stato un anno particolarmente complesso per il mondo cosmetico nel corso del quale abbiamo cercato di offrire risposte ai diktat di mercato, in primis sicurezza e sostenibilità, offrendo prodotti performanti e all’avanguardia – spiega Matteo Moretti, presidente del Polo della Cosmesi -. Nonostante la difficile congiuntura economica causata dalla pandemia, per la nostra associazione è stato un anno ricco di nuovi progetti e iniziative e la speranza, per il 2021, oltre al ritorno ad una “nuova normalità”, è che si possa continuare in questa direzione. Abbiamo puntato molto sulla formazione, leva strategica per il settore, e sulle attività di comunicazione e di internazionalizzazione. In questo panorama si inserisce anche il Global Cosmetics Cluster Europe, un progetto al quale il Polo, insieme ai cluster cosmetici di diversi Paesi europei, lavora da tempo e che ha come obiettivo quello di aiutare le imprese europee ad accedere a mercati terzi e a conquistare una posizione di leadership a livello mondiale. Si tratta di un’iniziativa importantissima per dare nuovo slancio all’export – leva strategica per le nostre aziende – messo a dura prova dalla pandemia».

 

Domenico Ganassini, presidente di Istituto Ganassini (Rilastil, Korff e Bioclin tra i marchi venduti in farmacia) racconta: «Come tutte le aziende anche noi abbiamo subito una flessione del business a causa della pandemia. Per quanto ci riguarda, nello specifico, le cause principali sono state due: da un lato l’impossibilità di uscire di casa se non per le emergenze nel primo periodo di lockdown (marzo-aprile) ha dimezzato le visite specialistiche e di conseguenza sono calate le prescrizioni relative ai nostri prodotti; dall’altro le entrate contingentate in farmacia sono state un deterrente per le persone che vi si sono recate solo per estreme necessità legate alla salute e questo ha rallentato le vendite commerciali. Avendo i laboratori interni abbiamo immediatamente provveduto a studiare e a immettere sul mercato prodotti specifici per le circostanze, incrementato le offerte e migliorato i rapporti con il nostro cliente, sia farmacia, sia consumatore finale».

 

Il gruppo Ganassini chiuderà il 2020 con un fatturato di 143 milioni di euro pari a un -5% rispetto al 2019. «Il 2021 sarà un anno che ci vedrà molto impegnati nel consolidamento del business e nel suo sviluppo – continua il presidente -. Rafforzeremo le linee dermatologiche e ginecologiche e faremo investimenti crescenti nella logistica per offrire un servizio sempre più puntuale e nella digitalizzazione soprattutto per quanto riguarda l’innovazione delle linee produttive. Ultimo, ma non meno importante, ci concentreremo sulla ricerca che è il fondamento portante di tutta la nostra realtà».

 

Si è adattata alle nuove esigenze del mercato ed è riuscita a chiudere l’anno con quasi tutti gli indicatori economico-finanziari positivi Paglieri. «Grazie alle misure di contenimento del rischio adottate fin dal primo momento dell’emergenza sanitaria, nonché al senso di responsabilità e alla dedizione di tutti i nostri collaboratori, l’azienda ha avuto l’opportunità di mantenere la piena continuità operativa durante il lockdown, sia nella prima che nella seconda ondata – raccontano gli ad Fabio Rossello e Massimo Barisone -. Non abbiamo mai “staccato la spina”, e questo, unito all’ottimo andamento a sell-out del nostro portafoglio prodotti, in crescita di oltre il 6% rispetto allo scorso anno, e al trend positivo dell’export, in crescita di oltre 25 punti percentuali, ci ha permesso di registrare quello che ad oggi è il nostro anno record: probabilmente sfonderemo il muro dei 140 milioni di fatturato con un profit e un Ebitda in crescita a doppia cifra».

 

Il periodo non certo facile non scoraggia l’azienda che ha in cantiere una serie di progetti e investimenti. «A inizio 2021 – dicono gli ad – implementeremo una nuova tecnologia nella produzione dei nostri prodotti: aboliremo i flaconi in favore del doypack, il che ci permetterà di ridurre notevolmente l’impatto ambientale immettendo sul mercato circa l’80% di plastica in meno a parità di prodotto. Questo formato inoltre è molto in voga all’estero, soprattutto nei paesi del Sol Levante, area di assoluto interesse strategico per Paglieri. Sempre parlando di sostenibilità lanceremo a breve il primo prodotto Felce Azzurra Bio con un flacone 100% in plastica riciclata».

 

Il focus sarà anche sull’export, driver principale di crescita dell’azienda che nel 2020 ha segnato una crescita, attraverso l’aumento della penetrazione in Paesi già consolidati come Germania e paesi Balcanici e l’apertura di nuovi mercati potenziali come i mercati asiatici, l’Ucraina e la Polonia. «Proprio per questo – concludono Rossello e Barisone – con il nostro esecutivo, di cui fanno parte anche Debora e Barbara Paglieri, siamo in ascolto per intercettare eventuali offerte di acquisizioni che ci permettano di accelerare il volano di crescita che abbiamo messo in moto».

 

 

Il sole 24 ore.

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Prove di ripresa per la cosmetica: dopo un 2020 negativo, quest’anno torna a crescere

Siamo sempre più portati ad essere attenti alla nostra salute e a quella dell’ambiente. Sappiamo che la nostra pelle assorbe le sostanze con cui viene a contatto. Per queste ragioni è bene scegliere prodotti naturali e biologici. Ma sappiamo distinguerli?

Se si considera che le donne utilizzano cosmetici – tra detergenza, trattamento, trucco – circa 25 volte al giorno e che la pelle assorbe fino al 60 per cento delle sostanze con cui viene in contatto, quindi una media di 2 chili durante l’intera vita, la qualità di ciò che si spalma su viso e corpo diventa essenziale per il benessere individuale e del pianeta.

La risposta arriva dalla “cosmesi verde”: prodotti eco-consapevoli, formulati con nuove materie prime, nuove tecnologie, nuovi packaging. Come orientarsi nella scelta?

Scegliere Bio o naturale? Non è la stessa cosa!

Non tutto è come sembra. Quando si tratta di cosmetici definiti “naturali” la cautela è d’obbligo. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio GPF 2010 per SANA (Salone Internazionale del Naturale), nella percezione dei consumatori la distinzione tra prodotti di personal care biologici e naturali non è affatto chiara: il 29% di chi li utilizza non capisce bene le differenze tra le due categorie, per un sostanzioso 21.5% sono la stessa cosa, mentre per il 49,5% sono cose diverse.

Più del 50% dei consumatori, quindi, riunisce non sa bene la differenza tra naturale, di derivazione naturale, biologico e biodinamico. 

Naturale e biologico: la differenza

«I cosmetici naturali certificati sono composti per la quasi totalità da “ingredienti naturali” o “di origine naturale”, non contengono derivati del petrolio, conservanti, coloranti sintetici, siliconi, formaldeide, alcool, parabeni, PEG, OGM o loro derivati.

 

I cosmetici biologici sono formulati con oltre il 90% di ingredienti naturali o di derivazione naturale rigorosamente biologici, ovvero provenienti da coltivazioni e allevamenti bio (privi di pesticidi, concimi chimici, ecc) o da raccolta spontanea in aree protette certificate da tutela ambientale» afferma il dottor Riccardo Cozzo, amministratore delegato di Bioagricert.

Gli ingredienti naturali, sia animali (miele, uova, sericina, ecc), sia minerali inorganici (rame, alluminio, blu di Prussia, silicio, ecc.), sia vegetali, subiscono un processo fisico (centrifugazione, essicazione, distillazione e così via) o enzimatico e microbiologico con enzimi e microrganismi presenti in natura. Possono anche provenire dalle biotecnologie con le quali si producono preparazioni microorganiche ottenute dalla fermentazione di microrganismi basate su sorgenti rinnovabili come amido e zucchero. Oppure da fermentazioni batteriche.

 

Gli ingredienti di origine naturale, invece, sono sostanze che, pur provenendo dal regno vegetale, minerale o animale, hanno subito una trasformazione mediante un procedimento chimico (idrolisi, saponificazione, raffinazione ecc) comunque consentito dagli enti certificatori. I prodotti biodinamici, invece, conferma la Dottoressa Francesca Lehner, senior product manager di Weleda : «Sono prodotti “vivi”, che risvegliano le energie intrinseche del nostro organismo perché formulati con ingredienti che provengono da coltivazioni biodinamiche. L’agricoltura biodinamica si potrebbe definire “omeopatia della terra” perché restituisce energia alla terra, ne aumenta l’attività biologica e consente alle piante di crescere in modo naturale, nutrite dall’ecosistema del suolo».

Come riconoscere un cosmetico Bio o naturale

Imparando a leggere l’etichetta, ovviamente! Essa deve riportare il marchio di una certificazione come ad esempio Cosmos, NaTrue, Icea, AIAB, Ecocert, Bio&natural Organic Cosmetics e Natural Cosmetic, Demeter, Ecolabel. E imparando a leggere l’Inci, ossia l’elenco degli ingredienti stampato sulla confezione. Quelli di derivazione vegetale, non sottoposti ad alcun intervento chimico, vengono indicati con il loro nome latino (per esempio l’Helianthus annuus oil è l’olio di girasole), mentre le sostanze che hanno subito processo chimico hanno un nome inglese. Inoltre, i coloranti compaiono sempre in fondo alla lista con la sigla C.I. (Color index), tranne quelli per i capelli che sono segnalati con il nome chimico inglese (per esempio Hc yellow no.10).

Infine, se nella lista INCI del prodotto è presente anche solo uno dei composti qui citati, il cosmetico non può considerarsi naturale: Chlorine, EDTA Triclosan, Methicone, Paraffinum Liquidum, Phenoxyethanol, Quaternium, Triclosan e tutti i componenti che contengono la parola parabene, PEG o “…propyl…”.

 

 

https://www.piusanipiubelli.it/bellezza/cosmetici-naturali-e-biologici-differenze-e-come-distinguerli.php

Magazine 48

Cosmetici naturali e biologici: differenze e come distinguerli

Siamo sempre più portati ad essere attenti alla nostra salute e a quella dell’ambiente. Sappiamo che la nostra pelle assorbe le sostanze con cui viene a contatto. Per queste ragioni è bene scegliere prodotti naturali e biologici. Ma sappiamo distinguerli?

Se si considera che le donne utilizzano cosmetici – tra detergenza, trattamento, trucco – circa 25 volte al giorno e che la pelle assorbe fino al 60 per cento delle sostanze con cui viene in contatto, quindi una media di 2 chili durante l’intera vita, la qualità di ciò che si spalma su viso e corpo diventa essenziale per il benessere individuale e del pianeta.

La risposta arriva dalla “cosmesi verde”: prodotti eco-consapevoli, formulati con nuove materie prime, nuove tecnologie, nuovi packaging. Come orientarsi nella scelta?

Scegliere Bio o naturale? Non è la stessa cosa!

Non tutto è come sembra. Quando si tratta di cosmetici definiti “naturali” la cautela è d’obbligo. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio GPF 2010 per SANA (Salone Internazionale del Naturale), nella percezione dei consumatori la distinzione tra prodotti di personal care biologici e naturali non è affatto chiara: il 29% di chi li utilizza non capisce bene le differenze tra le due categorie, per un sostanzioso 21.5% sono la stessa cosa, mentre per il 49,5% sono cose diverse.

Più del 50% dei consumatori, quindi, riunisce non sa bene la differenza tra naturale, di derivazione naturale, biologico e biodinamico. 

Naturale e biologico: la differenza

«I cosmetici naturali certificati sono composti per la quasi totalità da “ingredienti naturali” o “di origine naturale”, non contengono derivati del petrolio, conservanti, coloranti sintetici, siliconi, formaldeide, alcool, parabeni, PEG, OGM o loro derivati.

 

I cosmetici biologici sono formulati con oltre il 90% di ingredienti naturali o di derivazione naturale rigorosamente biologici, ovvero provenienti da coltivazioni e allevamenti bio (privi di pesticidi, concimi chimici, ecc) o da raccolta spontanea in aree protette certificate da tutela ambientale» afferma il dottor Riccardo Cozzo, amministratore delegato di Bioagricert.

Gli ingredienti naturali, sia animali (miele, uova, sericina, ecc), sia minerali inorganici (rame, alluminio, blu di Prussia, silicio, ecc.), sia vegetali, subiscono un processo fisico (centrifugazione, essicazione, distillazione e così via) o enzimatico e microbiologico con enzimi e microrganismi presenti in natura. Possono anche provenire dalle biotecnologie con le quali si producono preparazioni microorganiche ottenute dalla fermentazione di microrganismi basate su sorgenti rinnovabili come amido e zucchero. Oppure da fermentazioni batteriche.

 

Gli ingredienti di origine naturale, invece, sono sostanze che, pur provenendo dal regno vegetale, minerale o animale, hanno subito una trasformazione mediante un procedimento chimico (idrolisi, saponificazione, raffinazione ecc) comunque consentito dagli enti certificatori. I prodotti biodinamici, invece, conferma la Dottoressa Francesca Lehner, senior product manager di Weleda : «Sono prodotti “vivi”, che risvegliano le energie intrinseche del nostro organismo perché formulati con ingredienti che provengono da coltivazioni biodinamiche. L’agricoltura biodinamica si potrebbe definire “omeopatia della terra” perché restituisce energia alla terra, ne aumenta l’attività biologica e consente alle piante di crescere in modo naturale, nutrite dall’ecosistema del suolo».

Come riconoscere un cosmetico Bio o naturale

Imparando a leggere l’etichetta, ovviamente! Essa deve riportare il marchio di una certificazione come ad esempio Cosmos, NaTrue, Icea, AIAB, Ecocert, Bio&natural Organic Cosmetics e Natural Cosmetic, Demeter, Ecolabel. E imparando a leggere l’Inci, ossia l’elenco degli ingredienti stampato sulla confezione. Quelli di derivazione vegetale, non sottoposti ad alcun intervento chimico, vengono indicati con il loro nome latino (per esempio l’Helianthus annuus oil è l’olio di girasole), mentre le sostanze che hanno subito processo chimico hanno un nome inglese. Inoltre, i coloranti compaiono sempre in fondo alla lista con la sigla C.I. (Color index), tranne quelli per i capelli che sono segnalati con il nome chimico inglese (per esempio Hc yellow no.10).

Infine, se nella lista INCI del prodotto è presente anche solo uno dei composti qui citati, il cosmetico non può considerarsi naturale: Chlorine, EDTA Triclosan, Methicone, Paraffinum Liquidum, Phenoxyethanol, Quaternium, Triclosan e tutti i componenti che contengono la parola parabene, PEG o “…propyl…”.

 

 

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Magazine 48

ORIGINI E STORIA DEL COSMETICO

La parola cosmetico deriva dal greco “kósmos”, letteralmente “ordine”, da cui il termine “kósmesis”, ossia “mettere in ordine”.

La storia dei cosmetici corre parallela a quella dell’uomo, inizialmente associata alla caccia e alla superstizione e, più tardi, alla medicina e alla farmacia, fino ad arrivare ai giorni nostri con lo scopo di mantenere un soggetto sano ancora più sano.

 

LE ORIGINI ANTICHE

PITTURE, PROFUMI E IGIENE PERSONALE

L’utilizzo di colori e pitture risale all’uomo primitivo, che già 30.000 anni fa li utilizzava per pitturare le caverne e decorare il proprio corpo, allo scopo di mimetizzarsi e spaventare il nemico. Gli Indiani d’America pitturavano il proprio corpo con colori brillanti durante la battaglia, mentre le prime civiltà orientali utilizzavano cosmetici e oli aromatici nelle pratiche religiose.

Fu la civiltà egizia  a lasciare le prime tracce di make-up in senso stretto: gli egizi truccavano gli occhi con la malachite e la galena, mentre l’ocra rossa veniva usata per dipingere il viso.  Particolari sostanze aromatiche profumavano i templi durante le offerte di cibo e bevande e servivano per la preparazione degli abiti durante il processo di imbalsamazione dei defunti.

Nell’India del 1000 a.C. nacque il primo codice medico, che guidava la pratica dell’Ayurveda all’utilizzo di materie prime naturali in medicina, nelle cerimonie religiose e per uso estetico. Colorarsi le piante dei piedi, le unghie ed i palmi delle mani era una pratica molto diffusa, così come l’uso di profumi intensi come il sandalo; le donne si dipingevano il viso rappresentando il sole, la luna, i fiori e le stelle.

Nella Grecia classica si affermarono veri e propri canoni estetici: l’ideale del corpo greco si basava su un’idea di bellezza che dominò per millenni. Per detergere il corpo da polvere e sudore si utilizzava lo strigile, una sorta di mezzaluna in metallo passata sul corpo assieme a unguenti e oli. L’olio di mastice veniva utilizzato per prevenire e coprire cattivi odori, tra cui l’alitosi. I capelli erano colorati con tinture e frizionati con unguenti a base vegetale per rinforzarli e proteggerli dal sole. Per la depilazione venivano adoperati appositi rasoi, pinzette e una mistura a base di orpimento (solfuro di arsenico). Le donne si truccavano con una base viso costituita da biacca (carbonato di piombo), per conferire alla pelle il colore bianco tipico dei canoni di bellezza femminili vigenti, e con una sorta di rossetto a base di ocra rossa e succo di more passato su gote e labbra per apparire in buona salute. Ciglia e sopracciglia venivano scurite con una tintura nera chiamata stìmmis, ricavata dall’antimonio; le palpebre, invece, colorate con polvere di antimonio, ocra, noccioli bruciati, ossidi di ferro e rame.

Nell’epoca romana, l’uso dei cosmetici si sviluppò fino a diventare, in alcuni casi, veramente stravagante, come stravaganti erano talvolta i costumi generali del momento. I Romani amavano il trucco: utilizzavano il carbone per truccarsi gli occhi, il fucus per le guance e le labbra, lo psiloto per depilarsi, la farina d’orzo ed il burro come cura per i brufoli e la pietra pomice per sbiancare i denti. Tingevano i capelli di moro e di biondo, curavano le rughe con misture astringenti, indossavano denti, sopracciglia e ciglia finte. In letteratura scientifica, è questa l’epoca in cui si rinforza il legame tra medicina e cosmetici.

Con l’unificazione di Siria, Persia, Egitto e India sotto la guida di Maometto prese piede l’abitudine di prendersi cura di sé e mantenere un buono stato di salute generale attraverso l’igiene. I cosmetici venivano utilizzati allo scopo di correggere o prevenire le malattie, non solo per coprire gli inestetismi estetici.

Nel decimo secolo un medico arabo distillò le essenze dei fiori e riuscì ad isolare l’aroma di rosa per produrre l’acqua di rose, trasformandola presto in un importante bene commerciale arabo. Nel frattempo, durante i cosiddetti anni bui, in Europa nacquero i monasteri e si diffuse l’utilizzo di piante medicinali a scopo curativo. Nel decimo ed undicesimo secolo, a Salerno, venne fondata un’importante scuola medica, alla quale si deve la nascita della prima farmacopea riconosciuta, che identificava e utilizzava oltre 150 piante medicinali.

Dal sesto al tredicesimo secolo, fu nella Cina, massima potenza mondiale, che la Scienza e la Tecnologia avanzano rapidamente. Con lo sviluppo dei trasporti e degli scambi commerciali, strettamente legati a quello della scienza cosmetica, si svilupparono in Europa importanti Università, una tra tutte quella di Montpellier in Francia, dove gli intellettuali accorrevano numerosi portando alla nascita della scuola medica più famosa d’Europa. Per la prima volta venne fatta distinzione fra i trattamenti per la pelle malata ed i cosmetici di bellezza.

 

IL SEDICESIMO SECOLO

LA MANIFATTURA DI PROFUMI

In Europa la richiesta di profumi portò, nel 1508, alla nascita della prima manifattura di profumi naturali da parte dei Frati Domenicani nel monastero di Santa Maria Novella a Firenze. Con il crescere della ricchezza in Europa, le fiere internazionali lasciarono il posto ai mercati permanenti per la vendita di profumi, spezie e sostanze aromatiche. Le corti Reali d’Europa diventarono ricche ed influenti, al loro interno avveniva il reciproco scambio di mode stravaganti: l’ossido di ferro e il solfuro di mercurio venivano usati per truccarsi di rosso, il carbonato di piombo fungeva da polvere per il viso, mentre scomparve il trucco per gli occhi, considerato di cattivo gusto. L’Interesse per i profumi raggiunse l’Inghilterra e tra le donne inglesi si diffuse l’uso di fiori ed erbe per profumare le case e l’utilizzo di lozioni e pomate profumate per il corpo. Nelle case delle famiglie benestanti prese posto una stanza apposita per la preparazione dei cosmetici; è in questo periodo che nacquero le prime sostanze “moderne” per sbiancare i denti e nascondere o eliminare i brufoli dal viso.

 

IL DICIASSETTESIMO SECOLO

L’ESTETICA E L’EPIDEMIA DI PESTE

In questo secolo a medicina cominciò ad occuparsi dei disturbi della pelle, dei denti e delle unghie, abbandonando così il concetto di cosmetico a puro scopo decorativo. Prese forma il cerone, una pittura color carne o rosa pallido fatta con il piombo bianco, utilizzata in abbondante spessore sulla pelle per coprire le rughe del viso e del collo. Il vermiglio veniva adoperato come rossetto, le sopracciglia erano scurite e una crema blu, marrone o grigia veniva utilizzata per decorare le palpebre superiori. L’igiene e la sanità però erano tutt’altro che sviluppate e fu questo il fattore scatenante le epidemie di peste che colpirono la popolazione fino alle fine del secolo stesso. IL DICIOTTESIMO SECOLO

I “CIARLATANI” E LA PRIMA PUBBLICITA’

Il viso color porcellana andava ancora per la maggiore, e l’usanza di colorarsi le labbra di rosso rimase in voga fino alla Rivoluzione Francese. Anche gli uomini usavano il rossetto, si scurivano le sopracciglia e si profumavano, mentre i bambini venivano imbellettati di color rosato.

Prese piede il sotto-nitrato di bismuto, una sostanza molto più bianca degli ossidi di stagno e piombo finora utilizzati. La cera d’api e gli oli vegetali venivano scelti come unguenti per i capelli o come brillantine. Nonostante la presenza diffusa di farmacie per l’acquisto di materie prime e oli vegetali, non tutti i cosmetici venivano preparati in casa; sempre più piazzisti ambulanti iniziarno a vendere prodotti di bellezza profumati di ogni genere e dalle proprietà più stravaganti; è a loro che si deve la nascita del termine “ciarlatano”, per l’appunto.

Nel 1710 l’italiano Fermini mise a punto la formulazione di un’acqua venduta nel suo negozio di Colonia. Era proprio l’Acqua di Colonia utilizzata ancora oggi, inizialmente commerciata come rimedio farmaceutico contro tutti i mali ed elisir di lunga vita, diventata poi popolare solo come profumo.

Iniziarono a comparire le prime forme di pubblicità, dapprima attraverso volantini distribuiti a mano, poi sui giornali a più ampia tiratura.

 

IL DICIANNOVESIMO SECOLO

LA PRIMA INDUSTRIA COSMETICA E LA BOTANICA

La fase meccanica della Rivoluzione Industriale, lo sviluppo della chimica e la maggiore disponibilità di materie prime, portò alla prima produzione industriale di cosmetici. Le Farmacie, oltre alle droghe e medicine, vendevano ogni tipo di prodotto o ingrediente cosmetico, favorite anche da un generale permessivismo tipico di ogni periodo successivo alla guerra. Nel 1828 Guerlain introdusse in Francia la prima pomata per le labbra, ma nel frattempo, in Inghilterra, l’epoca Vittoriana portò con sé una ritrovata passione per la bellezza naturale senza artifici. L’attenzione passò alla cura dei capelli: unguenti e pomate profumate, parrucche, tinture, diventarono molto popolari. Lo studio degli oli essenziali ricevette un forte impulso dalla classificazione botanica delle piante ed il loro uso crebbe velocemente, anche grazie all’impiego nelle fabbriche di bibite. I profumieri più creativi inventarono nuovi aromi e numerosi saponi vennerno introdotti sul mercato, sia per uso igienico che cosmetico.

 

IL VENTESTIMO SECOLO

CREME SOLARI E REGOLAMENTAZIONE

Nascono le prime industrie cosmetiche.

Nel 1901 la Gilette Company viene fondata a Boston ed inizia a commercializzare rasoi di sicurezza e saponi da barba; nel 1907 Helena Rubinstein si trasferisce dall’Australia a Londra ed apre un salone di bellezza dando vita ad una linea di cosmetici; poco più tardi, nel 1910, Elizabeth Arden inizia la sua attività in America. Nel 1910 Roger e Gallet producono il primo stick da labbra contenuto in un cilindretto di cartoncino, mentre lo stesso stick, contenente un profumo più costoso e contenuto in un cilindro di metallo viene reso disponibile qualche anno più tardi nelle farmacie. Il generale sviluppo industriale e la scoperta di nuove materie prime sono fonte di ispirazione per lo sviluppo del cosmetico moderno. La ricerca e lo sviluppo viene impiegata in ogni tipo di prodotto, dai coloranti per capelli ai profumi e deodoranti; ma la vera novità di inizio di secolo è la nascita dei prodotti abbronzanti e delle protezioni solari. Partendo dall’antico concetto che la luce del sole possieda poteri curativi nei confronti dell’anemia e rifacendosi alle teorie della scuola di Erodoto nell’antica Roma, il pudore dell’epoca Vittoriana lascia spazio ai bagni di sole che, dal 1930, diventano il passatempo nazionale in un’Inghilterra dove un corpo molto abbronzato è segno di buona salute. La sempre maggiore esposizione del corpo diffonde sensibilità sul tema delle scottature da sole e così, i prodotti abbronzanti e le protezioni solari diventano il cosmetico più prodotto e acquistato. La conquista maggiore del secolo è l’introduzione di una regolamentazione per i cosmetici e i prodotti da toilette con lo scopo di garantirne la sicurezza per l’uomo. A partire dagli anni Sessanta, si impone che il prodotto cosmetico sia tecnicamente ben fatto e non contenga ingredienti nocivi per la salute. Il cosmetico, al contrario del prodotto farmaceutico, non deve avere altre proprietà oltre a quella di migliorare l’aspetto estetico di chi lo utilizza. Con il nuovo millennio il trucco diventa sempre più naturale non solo nell’effetto finale ma anche nell’utilizzo delle materie prime. ha fatto la sua comparsa il trucco minerale, così come la formulazione in mousse più leggera di facile applicazione. Infine, grandi novità anche dall’Oriente. In generale, si presta molta più attenzione al rispetto della natura e della pelle. I cosmetici devono essere performanti, ma senza danneggiare noi e l’ambiente circostante.

E anche l’idea di bellezza sta cambiando! Non si tratta più di raggiungere un canone di perfezione e armonia, ma di esaltare la nostra bellezza e mettere in luce le nostre caratteristiche.

 

 

ORIGINI E STORIA DEL COSMETICO

Storia del make-up: i cambiamenti del mondo della cosmetica dall’antichità a oggi